E addio anche al carbone russo. Oggi pomeriggio, mercoledì 6 aprile, l’Unione Europea deciderà probabilmente di proibirne l’importazione nell’ambito delle sanzioni. La Russia fornisce il 46% del carbone importato nell’UE.

All’interno dell’UE, l’Italia è uno dei maggiori importatori di carbone russo. Non si vede all’orizzonte un altro fornitore in grado di rimpiazzarlo. Il carbone è il più sporco e il più inquinante dei combustibili fossili, ma per farne a meno è necessaria un’ordinata e graduale transizione. Eliminarlo così, di punto in bianco, significa piantare un altro chiodo nella bara dell’economia e della società.

E’ russo circa il 40% del carbone importato in Italia. Serve, fra l’altro, per produrre quasi il 10% dell’energia elettrica. E come faremo a tenere accese le luci, ora che anche il gas russo è appeso a un filo?

Dal gas e dal carbone si ricava la generalità dell’energia elettrica italiana da fonti non rinnovabili. Quando si cominciò a parlare di ridurre o eliminare il gas russo, Draghi disse: potrebbe essere necessario riaprire alcune centrali a carbone. Lo stop al carbone russo che si prepara a Bruxelles, e al quale l’Italia dirà presumibilmente di sì, evidenzia come minimo il navigare a vista e la mancanza di strategia anche solo a breve termine da parte del Governo italiano.

Ma il carbone non serve solo per l’energia elettrica. Lo usano i cementifici, le industrie chimiche e anche quelle siderurgiche come l’ex Ilva, o ciò che ne resta. E adesso?

La notizia che l’UE si accinge a proibire l’importazione di carbone russo ha causato sui mercati europei l’aumento delle quotazioni del carbone in consegna nei prossimi mesi. Aumenta di prezzo anche il carbone statunitense: gli USA sono il secondo fornitore di carbone dell’UE e dell’Italia. I produttori ovviamente si fregano le mani, ma avvertono: non potremo sostituire tutto il carbone che finora la Russia ha dato all’UE.

Vorrà dire che nelle centrali termoelettriche e nei cementifici  bruceremo certi tizzoni d’inferno. Di quelli, al momento, non si vede penuria alcuna.

GIULIA BURGAZZI

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