L’icona americana del surf, Brittany Hamilton, ha deciso di lasciare la lega sportiva dei professionisti, la World surf league (Wsl), dopo che questa ha accettato nella sezione donne anche atleti transgender. Secondo le nuove policy, atleti nati uomini possono competere nella sezione femminile se mantengono il testosterone al di sotto di un certo livello per almeno 12 mesi.
Il capo del Wsl, Jessi Miley Dyer, una 36enne australiana, ha dichiarato questa presa di posizione necessaria per mantenere correttezza e rispetto: due valori necessari nello sport. Essendo inoltre il surf uno sport olimpico, dal suo punto di vista il Wsl ha semplicemente adottato la policy riguardante la partecipazione degli atleti transgender alle competizioni sportive.
Secondo le linee guida stabilite dall’Associazione internazionale surf (in inglese International surfing association, Isa), un atleta si definisce donna secondo diverse modalità. Un atleta può competere nella sezione femminile se è donna per nascita, per documento d’identità, oppure se si identifica come tale e i suoi valori ematochimici rientrano entro certi precisi livelli.
L’ICONA DEL SURF BRITTANY HAMILTON
La risposta della Hamilton non si è fatta attendere. La surfista, che vanta più di 15 anni di carriera alle spalle, specifica che non si tratta di essere pro o contro il gender. Quello che preoccupa la Hamilton è una questione prettamente professionale.
Il fatto di far gareggiare individui che si sentono donne ma hanno corpi maschili semplicemente non funziona né rende gli sport migliori o più inclusivi. La natura favorirà sempre e comunque coloro che, nati uomini, avranno corpi più prestanti e con la muscolatura più sviluppata.
“Una donna è molto più di un semplice esame del sangue”, dice la Hamilton: “Non si può in tutta onestà affermare che basti un numero per fare di un uomo una donna e viceversa. Abbiamo già visto come è andata in altri sport, come nuoto, corsa eccetera. Non è andata bene. Perché si vuole ripetere l’esperienza anche con il surf?”.
MOLTE DONNE HANNO PAURA DI PARLARE
Inoltre, secondo la sportiva, vi sarebbero diverse sue colleghe in giro per il mondo che la pensano esattamente come lei ma hanno paura di esprimere opinioni che potrebbero frenare le loro carriere e metterle in difficoltà.
“Beh le capisco, non è semplice, ma sono qui per difendere anche loro. Ho deciso che non parteciperò ad eventi organizzati dalla league se la sua nuova policy dovesse rimanere così com’è”, prosegue Hamilton: “Avrebbe molto più senso creare una categoria a parte, una terza categoria, in cui le persone che gareggiano si affrontano alla pari nelle competizioni. Ecco, creare la sezione transgender avrebbe un senso”.
Altra considerazione non di poco conto, nessuno ai vertici della league ha chiesto agli atleti che ne fanno parte che cosa pensano di questa decisione. “Non sarebbe forse il caso di discuterne con i professionisti sia uomini che donne prima di apportare un tale cambiamento alla politica dell’associazione?”, si chiede la Hamilton.
Molto probabilmente la creazione di una terza categoria non sarebbe così facile da digerire per la comunità Lgbtq+ che fa del criterio di inclusione la sua missione più importante.
NON SOLO IL SURF: IL CASO DI LIA THOMAS
Tuttavia, per quanto si voglia perseguire questa linea, la storia degli altri sport che prima del surf hanno affrontato il tema parla chiaro.
Già lo scorso anno la Fina, la lega sportiva del nuoto, dopo decise polemiche provenienti da atleti donne, aveva rivisto la propria policy: non era possibile che sportivi con struttura muscolare prettamente maschile gareggiassero con le donne. Le donne sarebbero state svantaggiate a prescindere. Ricordiamo tutti infatti la storia di Lia Thomas. L’atleta transgender si era trovata, da donna, a vincere competizioni su competizioni. Era passata da uno scarso 32 esimo posto, nella categoria uomini, al podio fisso in quella femminile.
Si brandiva la spada dell’inclusione per poi di fatto escludere davvero le altre atlete dalla competizione. Come si era dunque usciti da questa impasse? Con regole semplici e chiare. Chi vuol gareggiare nella divisione femminile deve aver completato la transizione prima della pubertà. Gli altri possono gareggiare in una divisione a parte. A tal proposito il presidente della Fina, Al-Musallam, dichiarò: “La Fina accoglierà sempre ogni atleta che vorrà partecipare. La creazione di una categoria aperta ha proprio questa finalità. Ovvero permettere a tutti di gareggiare ad alti livelli.”
Vedremo se la World surf league finirà per fare la stessa cosa.
MARTINA GIUNTOLI