Se pensate che solo i democratici e gli ultra liberali abbiano minacciato la fuga in massa, anzi, un vero e proprio esodo da Twitter, allora sarà bene riconsiderare il livello di panico che si sta diffondendo soprattutto all’interno della compagnia, perché sta davvero raggiungendo livelli importanti.

In una conversazione diffusa da Project Veritas della durata di circa 45 minuti, si ascoltano membri del board ed il CEO di Twitter, Parag Agrawal, rispondere a varie domande (alcune delle quali preparate per loro dai dipendenti), su cosa accadrà alla compagnia dopo la completa acquisizione della stessa da parte di Elon Musk, quali siano i veri motivi che hanno spinto il miliardario all’acquisto della compagnia, e come o se cambieranno le politiche aziendali.

La netta impressione che si ha, per come Agrawal e gli altri membri del board presenti alla riunione rispondono, é che, in preda al panico, stiano letteralmente prendendo tempo, tempo durante cui probabilmente sperano che accada qualcosa che mandi all’aria l’affare, e si percepisce l’incertezza estrema con cui rispondono, perché come ammetteranno poi nel corso della conversazione, sono proprio loro i primi a non avere risposte certe alle domande che vengono poste.

Il CEO Agrawal ripete più volte infatti “come sapete in transazioni importanti come queste, prima che dalla firma si arrivi al trasferimento effettivo della compagnia, ci vogliono dai tre ai sei mesi. In questo periodo continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto, stesse policy, stesso modus operandi, insomma nessun cambiamento“, e continua aggiungendo a chi chiede del ritorno di Trump sulla piattaforma “(…)la grandezza di Twitter sta anche nella capacità che abbiamo acquisito di moderare bene i contenuti, una politica fondamentale che deve continuare per mantenere la compagnia sana e in costante crescita(…)”. Tradotto: se dipende da me, continuerà la politica di censura e figuriamoci se Trump riavrà il proprio account.

Bret Taylor, l’altro dei membri del board in chiamata, aggiunge “sappiamo come vi sentite, siamo a conoscenza delle vostre emozioni oggi, (…) alcuni sono molto preoccupati per l’incertezza che aspetta loro e la compagnia, altri sono super eccitati“. Beh Taylor e Agrawal sono sicuramente i primi ad essere nel gruppo dei preoccupati e confessano tra le righe come sia avvenuto davvero l’accordo con Musk.

Sappiamo per certo che prima di acquisire Twitter, Musk era diventato il maggior azionista ed era stato invitato a divenire parte del Board, possibilità che  però l’investitore ha rifiutato. Musk ha puntato all’acquisto della compagnia con un’offerta assai superiore al valore azionario e infatti così Taylor risponde alla domanda postagli:

(…) Siamo stati una compagnia pubblica del Delaware fino a ieri e dobbiamo per legge far ciò che é nell’interesse dei nostri azionisti, il che significa che se offrono così tanto per le azioni non possiamo rifiutare(…)”. Tradotto: non avremmo mai venduto se non fossimo stati costretti dalla legge, ci dispiace.

Tuttavia il board ed il CEO non sono gli unici ad essere nel panico. I dipendenti e le loro chat stanno facendo il giro dei social. Si va dal “Mi sento fisicamente in imbarazzo quando vedo Elon Musk che parla di libera espressione“, di un ingegnere che si identifica come transgender non binario, al “Stiamo tutti attraversando i cinque stadi della disperazione non-stop e i nervi di tutti sono a fior di pelle”, di un altro ingegnere che dice di voler consolare i propri colleghi. Lo stesso continua poi dicendo “stiamo navigando a vista e stiamo immaginando solo gli scenari peggiori, tipo il ritorno di Trump, o la fine della politica di moderazione, ma il fatto è che Musk non ha detto che cosa ha in mente in dettaglio(…)“.

Gli impiegati di Twitter hanno quindi esternato che la loro preoccupazione più forte risiede in un possibile cambiamento per quel che concerne la politica della moderazione. Diversi si sono espressi con forza anche pubblicamente e non solo in chat private su come ad esempio sia importante censurare tutti i documenti hackerati, come i contenuti del laptop di Hunter Biden, (peccato che già l’ex CEO Dorsey aveva affermato davanti al congresso che quello fosse stato un errore) soprattutto in momenti cruciali come prima delle elezioni, oppure come Musk rappresenti una delle minacce più grandi per le elezioni del 2022 e del 2024.

Comunque si voglia guardare la questione, sembra piuttosto evidente che Elon Musk abbia smosso con forza le paludosi acque di Twitter a partire dall’alto fino ad arrivare all’ultimo impiegato. Viste le reazioni chiaramente esagerate da parte di persone per le quali la piattaforma dovrebbe essere solo un lavoro come un altro, probabilmente aveva ragione il miliardario sudafricano nel ritenere che dietro Twitter girassero ben altri interessi e che il social non fosse altro che uno strumento dei dem e dell’establishment in generale per controllare e gestire il discorso pubblico. (Non a caso la CNN aveva proposto Barack Obama al posto di Elon Musk.)

Ma se queste sono le premesse, quanti del board e degli impiegati rimarranno alla fine della transazione? Come ha detto Bret Taylor “Non vi sarà alcun board una volta terminata la transazione”.

E potremmo aggiungere, forse anche nessuno dei vecchi impiegati.

MARTINA GIUNTOLI

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