Il dibattito sulla possibilità di vietare il fumo all’aperto fa riflettere inevitabilmente sulla natura dello Stato etico. Ecco cosa sappiamo finora della proposta del Ministero della Salute e alcune considerazioni a riguardo.

LA BOZZA SUL FUMO ALL’APERTO

Nei giorni scorsi è circolata la notizia di una bozza ministeriale con una serie di dettagli: divieto di fumo in molti luoghi all’aperto, tra cui i dehors dei bar, in presenza di donne in gravidanza o bambini; niente più sale fumatori all’interno dei locali e così via.

Per ora la cosa ha lo statuto di indiscrezione giornalistica. Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha infatti smentito di conoscere quella bozza, ha detto che i provvedimenti saranno presi nel rispetto delle “libertà individuali” e ha aggiunto: “La mia non è una posizione ideologica, ma scientifica. Sappiamo tutti che il fumo fa male e stiamo facendo un percorso atto alla prevenzione“.

Fermo restando che è vero che il fumo fa male, dopo la pandemia la politica che si appella alla scienza per giustificare il proprio agire fa tuttavia scattare un campanello d’allarme. In attesa di vedere che cosa succederà, una prima considerazione è che difficilmente un divieto di fumo all’aperto potrebbe funzionare: non sempre le proibizioni disincentivano le persone dal mettere in atto comportamenti.

LA QUESTIONE E-CIG

Sempre secondo le indiscrezioni, inoltre, il divieto sarebbe anche esteso a sigarette elettroniche e riscaldatori di tabacco. Quindi, strumenti utilizzati per cercare di limitare la combustione di tabacco. Su questo, Schillaci ha affermato: “Seguo da tempo i dati sulle e-cig e quando avrò una visione più chiara in merito mi esprimerò”.

Ha risposto a Schillaci il dottor Riccardo Polosa, professore di Medicina Interna, il primo in Italia a studiare il fenomeno e-cig, nonché fondatore di un centro di ricerca multidisciplinare sulle soluzioni scientifiche innovative per ridurre il danno da fumo: “Siamo pronti al dialogo scientifico da anni ormai. Un dialogo che non è mai arrivato. Facciamo ricerca di alto livello sulle e-cig sin dalla loro diffusione dal 2010. E oggi l’Università di Catania vanta il pedigree per la ricerca sul fumo e sulle sue alternative”.

E ancora: “Quando Schillaci dice che è contro il fumo siamo al 100% con lui. Tuttavia, ribadiamo che la strada dei divieti è inefficace e controproducente. Se desidera un confronto, i dati ci sono, ci sono da molto tempo. Sono di elevata qualità scientifica e quindi sarebbe forse il caso di valutare e magari spingere le alternative alla classica sigaretta invece di vietare soltanto.”

“ZERO FUMO” IN NUOVA ZELANDA

In giro per il mondo già si trovano altri esempi di strette importanti. La Nuova Zelanda, dopo la politica zero Covid, ha perseguito la politica zero fumo.

In data 13 dicembre 2022 il Paese ha approvato una legge che prevede il ban totale al fumo. L’allora primo ministro Jacinda Ardern, già nota al pubblico per le sue politiche molto dure e repressive durante la pandemia, ha stabilito che l’acquisto di sigarette non sarà più consentito a nessuno nato dopo il 2008. “Vogliamo essere sicuri che i giovani non comincino mai a fumare”, ha detto Ardern a riguardo: “Per cui puniremo anche coloro che, più grandi, offriranno loro prodotti da fumo”.

Altre misure incluse nella legge sono l’innalzamento progressivo dell’età minima per acquistare sigarette e il taglio al numero di negozi autorizzati a venderle. Si calcola che nel 2050 l’età minima per acquistare prodotti contenenti tabacco sarà 42 anni. Rimarranno inoltre 600 punti vendita autorizzati, contro i 5 milioni di oggi. Secondo Ardern, quanto già in voga prima della nuova legge, e cioè l’aumento del costo del pacchetto e la riduzione della nicotina contenuta nelle sigarette, ha avuto poco effetto nel disincentivare il consumo di tabacco.

Il primo Paese ad attuare la politica zero fumo era stato ad ogni modo il Bhutan. Per oltre un decennio, a partire dal 2010, era stato guardato con ammirazione per questo. Tuttavia il divieto di vendita è stato poi revocato e il tabacco reintrodotto a partire dal 2020.

VERSO LO STATO ETICO?

Tenendo fermo quanto la scienza mostra, ovvero che il fumo di sigaretta sicuramente danneggia il fumatore, si ha tuttavia l’impressione che mosse come quelle di Ardern, o di Schillaci qualora fosse confermata, non abbiano a che fare solo con la scienza.

Si impone per contro una riflessione sullo Stato etico. Può uno Stato decidere che cosa è bene e cosa è male per i suoi cittadini? E una volta deciso, imporlo, con un progressivo sfaldarsi delle libertà individuali? E se sì, entro quali limiti? Vista in quest’ottica, la stretta sul fumo può apparire come una prosecuzione dell’agenda che si è iniziata ad instaurare con la pandemia. Se si può comprendere il divieto di fumare in locali chiusi, più difficile è capire la logica di non poterlo fare all’aperto.

Forse è la stessa logica che imponeva le mascherine per strada? I fumatori sarebbero considerati colpevoli di ammalarsi e di conseguenza indegni di essere curati, giustificando così in nome della salute tagli e carenze della sanità pubblica?

Analogamente, se oggi è la volta delle sigarette, domani potrebbe toccare agli alcolici. Il comitato etico di turno (magari lo stesso che, per vivere e lavorare, ha imposto di iniettarsi un siero dannoso) potrebbe riunirsi e decidere di bandire birra e vino dalle tavole degli italiani. A quel punto vietato mangiare la pizza con la birra; il mestiere di sommelier diverrebbe illegale; i vigneti sarebbero acquistati da Bill Gates e riconvertiti in cibo per grilli… Se fosse un film, sarebbe una via di mezzo tra Il marchese del Grillo e 1984.

MARTINA GIUNTOLI

 

 

 

 

 

 

 

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