«Hegel osserva da qualche parte che tutti i grandi avvenimenti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa».

Inizia così Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, il piccolo capolavoro di Karl Marx, scritto nel 1852, che rappresenta il tentativo dell’autore di comprendere e spiegare gli avvenimenti storici che hanno portato al colpo di stato del 2 dicembre del 1851 in Francia, quando Luigi Bonaparte mise fine alla breve esperienza della terza repubblica francese, chiudendo così il ciclo rivoluzionario del 1848. Un evento che molti contemporanei, come Victor Hugo, definirono «un fulmine a ciel sereno», e che quindi non riuscirono a spiegare in modo razionale.

Nel 18 brumaio Marx cerca invece di cogliere il concatenarsi degli eventi degli ultimi quattro anni sulla base del sostrato materiale, cercando di dimostrare come anche gli episodi che possono apparire più irrazionali e imprevedibili della storia come quelli che resero possibile a Luigi Bonaparte arrivare al colpo di stato e passare come “eroe”, abbiano una propria «logica interiore» e trovino «la loro radice nel modo in cui si è precedentemente sviluppata la lotta politica e di classe».

La Rivoluzione del 1848 si presenta infatti secondo l’autore come “farsa” di quella del 1789 e Luigi Bonaparte con le «fattezze caricaturali che gli si addicono alla metà del secolo decimonono» come pallida copia farsesca del Napoleone originale.

Luigi Bonaparte, nipote di Napoleone, rappresenta per Marx un «personaggio mediocre e grottesco» che, grazie alla concatenazione di eventi riuscì a emergere e a portare a termine un colpo di Stato facendo persino «la parte dell’eroe». Ogni rivoluzione utilizza dei riferimenti storici ma, mentre le rivoluzioni precedenti li usavano per raggiungere e adempiere il proprio compito storico, questa lo fa per tradirlo, divenendone così una forma di parodia.

Senza avventurarci nell’analisi del periodo, è interessante come l’incipit dell’opera ponga la questione della storia che si ripete ma presentandosi la prima volta come tragedia e la seconda come farsa, cioè come parodia del primo evento che finisce appunto per copiare con risultati grotteschi.

Lo spunto per questo schema tragedia/farsa proviene da un altro filosofo tedesco, Friedrich Engels, fondatore con Marx del materialismo storico. Si tratta di una lettera inviata allo stesso Marx il 3 dicembre 1851 in cui Engels gli comunicava il proprio giudizio sul colpo di stato di Luigi Bonaparte.

Sebbene certi parallelismi storici siano spesso pari a voli pindarici, capziosi o riduttivi, ci interessa in questa sede notare come in effetti alcuni eventi ricorrano in modo costante come caricatura di un modello precedente in quanto abilmente manipolati e pianificati.

E oggi stiamo vivendo proprio in un periodo farsesco, una parodia di quella che dovrebbe (ed è) essere una dittatura. Da ieri sera della democrazia rimangono solo le vestigia vuote. Al comando di questo dispotismo tecno-sanitario troviamo personaggi altrettanto mediocri e grotteschi di quelli descritti da Marx nel 18 Brumaio, che si sono aggiudicati uno scranno grazie all’ingegneria sociale, ai mezzi di comunicazione e all’ignavia delle masse. Masse disorientate e terrorizzate dalla paura, ormai prone al biopotere, incapaci di immaginare un’alternativa e soprattutto incapaci di rialzarsi.

Le tecniche sociali che sono state utilizzate in questi mesi hanno centrato l’obiettivo e sono riuscite a generare uno shock collettivo e a legittimare misure liberticide sempre più stringenti, dalla censura fino all’approvazione del green pass, portando alla discriminazione e alla ghettizzazione dei non vaccinati alla stregua di reietti, cittadini di serie B a cui si vuole impedire di condurre una normale vita sociale.

Si è sfruttata una crisi, la si è amplificata e strumentalizzata per ottenere uno stato di eccezione – l’emergenza – ache si vuole infinito. L’emergenza non deve mai finire per poter stringere fino a soffocamento le spire intorno alle libertà.

“E come in ogni regime che si rispetta si discrimina”, osserva Maurizio Blondet, “quella parte della popolazione che si dimostra refrattaria. Ieri la stella gialla, oggi il pass “verde”. Sottomissione o discriminazione”.

Similmente il filosofo Giorgio Agamben osservava qualche giorno fa che

“Come avviene ogni volta che si istaura un regime dispotico di emergenza e le garanzie costituzionali vengono sospese, il risultato è, come è avvenuto per gli ebrei sotto il fascismo, la discriminazione di una categoria di uomini, che diventano automaticamente cittadini di seconda classe. A questo mira la creazione del cosiddetto green pass […] La “tessera verde” costituisce coloro che ne sono privi in portatori di una stella gialla virtuale”.

La denigrazione e la persecuzione dei non vaccinati e il ricorso al metodo del Divide et Impera servono infatti per creare una tensione costante e l’ennesima “guerra tra capponi” di manzoniana memoria, in cui sono i cittadini che, invece di coalizzarsi, si fanno la guerra tra loro. Taluni incolpano gli altri di essere “untori”, alla stregua di pericolosi criminali. L’ennesimma farsa se consideriamo che non essere vaccinato non significato essere malato e che dall’altra anche i vaccinati possono infettarsi, ammalarsi e contagiare, come bene ci dimostrano i casi dell’Inghilterra e di Israele.

La paura di perdere la vita, citando ancora Agamben, ha però portato in maniera graduale e strisciante alla costituzione di un dispotismo tecnologico-sanitario basato su una sorta di religione della salute:

«Si direbbe che gli uomini non credono più a nulla – tranne che alla nuda esistenza biologica che occorre a qualunque costo salvare».

In una società che critica e contesta qualsiasi tema e mette sotto esame qualsiasi autorità, da quelle politiche a quelle religiose, le uniche autorità che restano inattaccabili sono quelle identificate come le ancelle della “scienza”, le cui voci si diffondono e dispiegano attraverso i media di massa, entrando quotidianamente nelle nostre case tramite televisione, radio e quotidiani, con il chiaro intento di imporci cosa pensare in base al nuovo catechismo scientocratico.

La scienza, proprio come ogni religione, può produrre superstizione e paura o, comunque, essere usata per diffonderle. La fusione tra meccanismi di fede religiosa e l’apparenza “razionale” della scienza, ha creato un meccanismo che esalta, esacerba e diffonde fanatismo, terrore, ipocondria e cecità collettiva, portando alla costituzione di un regime tecno-sanitario, basato sul biopotere, che appare come una farsa rispetto alle dittature del passato.

Grazie al terrorismo mediatico e alla compiacenza della politica, si è fatta strada la scientocrazia con i suoi pilastri e i suoi diktat, i suoi dispositivi anti-democratici basati sul biopotere e la biosicurezza, con la sua furia censoria e la volontà di piegare e soggiogare chiunque metta in discussione le sue verità di fede ed eserciti ancora il pensiero critico.

Ieri il discrimine era il mantenimento della purezza del sangue, oggi la somministrazione del “siero”.

Ieri a essere discriminati erano ebrei, omosessuali, zingari, disabili, oggi i non vaccinati.

Ieri come oggi una casta si è autoproclamata “pura” e, in virtù di un lasciapassare, migliore degli altri. E gli “altri” devono essere perseguitati, ghettizzati, discriminati, “cacciati”, cancellati.

E da ieri sera, per quanto il suo volto e i suoi “colonnelli” siano mediocri e grotteschi, siamo ufficialmente in una dittatura.

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