Mentre i governi di Italia e Francia, sfidando il malcontento delle masse, introducono misure sempre più stringenti sul Green Pass, in Russia pare che la situazione sia assolutamente differente. Il timido tentativo da parte di Sergej Sobjanin, il sindaco di Mosca, di imporlo è caduto nel vuoto: il green pass moscovita è stato revocato dopo un mese per le proteste di commercianti e ristoratori.
Come mai il “governo forte” di Putin, visto come quasi dittatoriale, cede laddove governi “democratici” invece tirano dritto nonostante le piazze?
Notiamo innanzitutto che l’obbligo vaccinale è stato portato avanti da autorità locali, in particolare dal sindaco di Mosca. Putin è il convitato di pietra, ha lasciato larga autonomia. Come mai?
Il presidente sa che in Russia, nazione dove i vaccini sono consigliati ma non obbligatori, l’imposizione del vaccino anti-Covid sarebbe estremamente impopolare. Allora usa la vecchia strategia di Ivan il Terribile dello “zar buono e dei boiari cattivi”: manda avanti i funzionari e, qualora si accorgesse che la misura è impopolare, scarica la colpa su di loro. Ma stavolta questa tecnica non pare adatta ai tempi: tra due settimane vi saranno le elezioni per la Duma e il partito del presidente, Russia Unita, accusa un crollo in termini di popolarità: le intenzioni di voto si aggirano attorno al 25/27 per cento. Sono soprattutto i più giovani, quelli che non hanno visto né il crollo dell’Urss né i terribili anni di Eltsin, a voltare le spalle al “presidente eterno” verso il quale i genitori, che hanno visto le gravissime crisi post-sovietiche, provano profonda gratitudine: oramai in Russia esiste una generazione che ha visto solo Putin e chiede altro. Ma più che Putin in sé il problema sono i suoi uomini, spesso personaggi di bassa levatura che non piacciono nemmeno ai più convinti supporter dello Zar.
Essendo consapevole di questi problemi Putin non ha potuto far altro che dare il via libera a Sobjanin per far cadere il green pass a Mosca. Così come il giorno stesso in cui si è tenuta la manifestazione a favore di Navalny sono state fatte cadere tutte le restrizioni riguardanti mascherine, guanti e distanze sociali, misure la cui violazione arrivava a costare il carcere.
E qui abbiamo un punto interessante: il consenso. Putin pare terrorizzato dalla perdita di consenso. Ha fatto più volte passi indietro quando ha capito che determinate misure potevano erodere la sua leggendaria popolarità. Un caso fu quello dell’oscuramento di Telegram, oscuramento revocato dopo qualche anno anche per via del fatto che veniva tranquillamente disatteso dai russi. La riflessione è però questa: se Putin cede alle richieste del suo popolo per timore di perdere popolarità, la Russia è davvero un regime? Certo, non vi è alternanza politica ma il dissenso popolare (diverso da quello “politico” di un Navalny) non è represso, bensì ascoltato. E’ certamente opportunismo politico e non buon cuore, ma la voce del popolo russo ha un suo peso, come mai lo ha avuto nella storia del Paese. Invece lascia basiti il fatto che in nazioni di antica democrazia, dove la voce del popolo era la voce di Dio, le istituzioni paiano sorde arrivando a reprimere e demonizzare il dissenso popolare come accadeva in Unione Sovietica. Siamo in presenza di una vera e propria inversione dei poli. Inoltre, mentre nella dittatoriale Russia le elezioni parlamentari si terranno regolarmente il 17 settembre, in Italia il Covid è diventato il pretesto per cancellare ogni confronto elettorale.
Questo il segnale che deve preoccupare: il non tener conto del consenso, cosa che non accadeva nemmeno sotto il fascismo. Siamo forse davanti ad un upgrade della dittatura e il confronto col caso russo dovrebbe far riflettere.
ANDREA SARTORI