Il 20 ottobre 2011 moriva con un proiettile alla testa il colonnello Muammar Gheddafi, storico padre della Libia.
A farlo fuori, uno dei tanti colpi di Stato perbene della Nato, che colse la ghiotta occasione per esportare la democrazia anche a Tripoli, così come è suo costume fare in giro per il mondo.
Le forze militari occidentali destituirono e uccisero colui che Francia e Usa avevano presentato al mondo intero come un sanguinario tiranno.
Tutto ebbe ufficialmente inizio nel mese di marzo dello stesso anno, quando le forze della Nato, e quindi anche l’Italia, cominciarono a colpire la Libia con qualcosa come 40mila missili e bombe.
Ufficiosamente, invece, già mesi prima gruppi islamici ostili a Gheddafi vennero contattati e finanziati profumatamente.
Il loro appoggio fu essenziale nel fomentare scontri armati intestini e creare terreno fertile per quel che si sarebbe verificato in seguito.
Come Wikileaks ha poi raccontato, attraverso alcune email della Clinton, allora segretario di Stato Usa, sia Obama che Sarkozy volevano la fine della Libia.
Entrambi sapevano che quello era l’unico Paese africano ad avere un tenore di crescita elevato e che, soprattutto, desiderava smarcare il continente da decenni di sfruttamento sconsiderato. Ne ha parlato il giornalista Fulvio Grimaldi, più volte sul campo, durante una recente puntata de Il punto.
Ma Gheddafi rappresentava molto più di questo.
Egli era apertamente anti israeliano e anti americano.
Per aver supportato la Palestina e probabilmente anche gli indipendentisti irlandesi, pur rimanendo dentro l’Onu, subì un pesante ostracismo.
Reagan gli dichiarò guerra già nel 1986: guerra dalla quale il colonnello uscì indenne, perdendo però la figlia adottiva.
Gheddafi e la Libia furono di nuovo tirati in ballo nel 1988, quando sulla cittadina scozzese di Lockerbie un aereo della Pan Am, volo 103, esplose a causa di un ordigno a bordo.
Le Nazioni Unite attribuirono alla Libia la responsabilità dell’attentato, e ordinarono a Gheddafi di arrestare coloro che l’organizzazione aveva individuato come colpevoli.
Gheddafi si rifiutò e per questo divenne oggetto di un pesante embargo economico.
A questo tira e molla internazionale, tuttavia, si aggiunse anche altro.
Il leader libico voleva costituire un fondo monetario africano e una valuta panafricana alternativa al dollaro che fosse saldamente ancorata alle sue consistenti riserve auree.
E non fu certo un caso che, proprio poco prima che gli scontri con la Nato cominciassero, egli avesse annunciato l’inizio delle operazioni per la costituzione dei nuovi organismi economico-finanziari.
Gli Usa, e la Francia soprattutto, non gli perdonarono mai questa mossa: li avrebbe privati di denaro nonché del potere cui il tempo li aveva abituati.
Da allora il Paese, che un tempo era la roccaforte della crescita economica e sociale africana, è diventato regno del caos.
Governi fantoccio si sono tristemente succeduti, e non c’è ad oggi più traccia alcuna di quel che Gheddafi aveva in mente di creare sia in Libia che in Africa.
Addirittura nemmeno i cittadini libici sono più accolti con favore nella propria terra perché spesso visti come troppo patriottici per gli standard atlantisti.
Chissà come sarebbero la Libia e l’Africa oggi se Gheddafi fosse rimasto al suo posto.
Probabilmente anche l’Italia si sarebbe resa conto di avere nella Libia il suo più grande alleato del Mediterraneo.
Un alleato che poteva fermare l’immigrazione incontrollata e aiutare energeticamente Roma.
Un alleato anti atlantista che oggi più che mai sarebbe stato utile avere vicino ai propri confini.
Oggi che Gheddafi non c’è più, così come non ci sono figure che abbiano saputo raccogliere appieno la sua eredità, non possiamo non ricordare il suo storico discorso presso le Nazioni Unite.
Si trattava della 64esima Assemblea generale dell’Onu a New York ed era il settembre del 2009.
In quella occasione il colonnello raccontò di un futuro non troppo lontano né troppo roseo, che alla luce degli avvenimenti degli ultimi anni si è poi rivelato essere molto vicino alla realtà.
Il 2009, lo ricordiamo tutti, era l’anno dell’influenza suina, ovvero la prima pandemia dichiarata del 21esimo secolo.
Queste furono le parole del leader libico all’Onu:
Oggi c’è l’influenza suina, forse domani ci sarà quella dei pesci, perché può capitare che i virus vengano prodotti. Non è né più né meno di una semplice attività commerciale. Le aziende capitaliste producono virus cosicché si possano creare e vendere i vaccini. Questa è un’etica vergognosa. Vaccinazioni e medicine non dovrebbero essere vendute.
E ancora:
I medicinali dovrebbero essere gratuiti così come le vaccinazioni, ma questo non è previsto dalle aziende che invece creano il problema e forniscono la risposta per ottenere un profitto.
E infine:
Creeranno virus da soli e ti venderanno antidoti. Poi faranno finta di aver bisogno di tempo per trovare una soluzione che invece già hanno.
Escludendo doti di preveggenza, le sue affermazioni molto probabilmente traevano origine da fatti che conosceva bene e desiderava denunciare al grande pubblico.
In quella occasione, quindi, lui che era già un pluri-attenzionato da parte dei Paesi occidentali, molto probabilmente scrisse la sua condanna a morte.
A distanza di due anni dalla pronuncia di quelle parole, la sua vita terminava, inseguito da droni statunitensi e aerei francesi.
La resistenza che avrebbe voluto continuare dalle dune del suo deserto si fermò bruscamente. E con essa anche il sogno di un’Africa libera e prospera.
MARTINA GIUNTOLI