Durante l’ultimo incontro ufficiale del World Economic Forum svoltosi a Dubai nel novembre del 2021, Klaus Schwab ha presentato la sua ultima creazione, The great narrative (“La grande narrazione”). Secondo le parole dello stesso presidente di Davos, si tratta di una vera e propria una iniziativa collettiva.
Questa permetterebbe alle menti più eccelse del nostro tempo di creare una narrativa, che ha come compito principale quello di modellare visioni future del mondo, più resilienti, inclusive e sostenibili per l’uomo e per l’ambiente.
Come anticipato dallo stesso autore durante le sessioni del Forum, The great narrative si è anche poi tradotto di lì a poco in un libro, uscito sugli scaffali delle librerie nel gennaio del 2022.
In una retorica a metà strada tra uno spot per creme anti rughe e la tirannide più fredda e spietata, mascherata da filantropia spicciola, Schwab parla del futuro. Un futuro che non è solo tempo cronologico ma anche dissezione pragmatica della realtà. Un futuro che prima si deve immaginare e progettare, e soltanto in seguito realizzare, secondo schemi che non conoscono né eccezioni né casualità, ma soltanto passaggi obbligati decisi dai cosiddetti migliori.
Il mondo di adesso, espressione del globalismo elitario più estremo, secondo Schwab non può essere governato da menti semplici, poiché la quarta rivoluzione industriale di cui è appunto figlio, quella del transumanesimo e delle zero emissioni CO2 per capirci, impone uno sforzo che di concerto sappia risanare e rifondare (leggi resettare) la società.
Ne abbiamo parlato durante la puntata del nostro talk show Dietro il Sipario intitolata “L’aumento dei prezzi è funzionale al grande reset”. Nel video allegato a questo articolo, uno spezzone dell’intervento dell’economista Ilaria Bifarini. L’esperta spiega come l’ultimo libro di Schwab completi in maniera perfetta la serie di best seller del tedesco fondatore di Davos, e altro non sia che una sorta di manuale pret-à-porter per la messa in atto dei contenuti del suo testo precedente, intitolato Quarta rivoluzione industriale.
Tuttavia, con uno sguardo che va ben oltre le tante belle parole, i globalisti di Davos, che mai si lascerebbero sfuggire una crisi, stanno semplicemente continuando a sfruttare il meccanismo pandemico, provando a legittimare la loro agenda con una nuova narrativa, per far sì che quanto ormai già rodato crei in automatico altre crisi da cavalcare e da gestire a loro piacimento.
Il lettore attento riesce facilmente a immaginare cosa sia questa “grande narrazione”, cosa significhi davvero se si traduce dall’ecologicamente corretto al mondo reale. Altro non è che una operazione di editing, di scelta delle scene e di montaggio della realtà, di cui la società attuale fa già ampiamente parte.
Ciò significa azzerare ogni dissenso perché c’è a monte chi decide quali sono i ciak da tenere e quali quelli da buttare: all’individuo non resta che uniformarsi alla sceneggiatura. Ciò significa editare qualsiasi cosa, persino l’essere umano, che è stato violato in qualcosa di intoccabile e sacro come il proprio Dna, attraverso le tecniche ad mRna dei nuovi strumenti farmaceutici.
Nemmeno il dissenso fa parte delle scene ammesse nel film del mondo. Le voci di quelli che si oppongono sono cancellate ovunque, spesso per una parola fuori posto, con il misero intento di colpire anche solo un dissidente per educarne cento. I social, la carta stampata e soprattutto la tv mainstream sono imbottiti della grande narrazione, la sostengono e ne divengono forse gli strumenti più preziosi.
Compito degli intellettuali contemporanei non è dunque uniformarsi a questo astuto gioco di specchi, quanto piuttosto quello di smontarne le narrative, così come compito della tv del dissenso è quello di mostrare quanto le scelte dell’editing globalista precludano visioni alternative del mondo, spesso le uniche migliori per l’essere umano.
Per questo motivo è fondamentale che le voci di chi vuole raccontare una storia diversa rimangano attive e che nonostante le difficoltà si continui senza sosta nella destrutturazione del film e nella distruzione delle pellicole che le élite vogliono proiettare nei cinema della nostra vita.
MARTINA GIUNTOLI