Era bastato il sospetto, alimentato dalle dichiarazioni di alcuni banchieri centrali, di una prossima uscita della BCE dal programma di acquisto dei titoli di Stato, per mandare in rosso le borse del vecchio continente.

Si guardava con ansia alla riunione di mercoledì che avrebbe potuto, secondo molti osservatori, stabilire il primo passo della Banca Centrale Europea verso una veloce fine del Pepp, il piano straordinario di acquisto titoli pandemico.

Da tempo infatti i ministri delle economie e i banchieri  centrali dei Paesi “falchi” del Nord Europa chiedono una veloce fine del Piano.

Ora la BCE, contravvenendo alle sue stesse regole, acquista i titoli del debito pubblico degli Stati Membri,  e impedisce così che gli interessi salgano in maniera incontrollabile, come è avvenuto con la Grecia o con la crisi dello spread in Italia.

Si comporta cioè come una vera banca centrale, garantendo allo Stato la liquidità necessaria a un interesse basso, invece di lasciare che siano i “mercati” a stabilire gli interessi che i singoli Stati devono pagare, come previsto nei trattati europei.

Questa deroga dalle norme è stata attuata nel 2015 quando la speculazione, dopo aver devastato la Grecia, stava colpendo Italia e Spagna.

C’era il rischio concreto che, in assenza di un intervento, i due Paesi fossero costretti ad uscire dall’ euro e questo, dopo la Brexit, avrebbe significato la fine del “sogno europeo”.

Per evitarlo la BCE ha iniziato a comprare indirettamente titoli di Stato, fornendo miliardi alle banche private le quali compravano il debito degli Stati. Si trattava di quello che è passato alla cronaca come il “bazooka” di Draghi, cioè una forma di quantitative easing.

Successivamente con l’arrivo della crisi del Covid l’acquisto di titoli è passato al programma Pepp, con una dotazione di circa 1800 miliardi di euro.

L’interruzione o anche solo una forte diminuzione di questo “ossigeno finanziario” riporterebbe l’Europa, ma soprattutto l’Italia, in uno scenario simile a quello che ha portato al governo Monti.

Ma al momento non sarà così. La Banca Centrale Europea ha deciso di confermare in pieno il Pepp annunciando solo una “moderata” riduzione degli acquisti che ora si attestano intorno agli 80 miliardi al mese. Christine Lagarde parlando alla stampa ha detto chiaramente che non si tratta del “tapering”, cioè la graduale uscita dal programma, ma di una decisione presa perché  le condizioni di finanziamento sono destinate a restare favorevoli.

I mercati cioè rispondono bene alle aste dei titoli pubblici, ma se dovessero cambiare approccio i miliardi della BCE sono sempre pronti.

Le borse hanno immediatamente rifiatato, ma si tratta di una tregua, non di una pace.

I trattati dell’Unione Europea sono sempre li, e le pressioni dei Paesi del Nord per un ritorno ai “conti in ordine” ed all’austerità pure.

Solo una cosa è cambiata: il pil italiano tornerà al livello del 2019 solo l’anno prossimo, ma il debito pubblico raggiungerà il 160%, e non appena la BCE smetterà con l’acquisto “straordinario” dei titoli saremo più che mai sotto scacco dei mercati.

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