
Jack Posobiec prigioniero a DAVOS: camionette e fucili per il giornalista conservatore USA
In numerosi video apparsi su Twitter nelle ultime 24 ore, Jack Posobiec, il noto attivista politico conservatore americano nonché conduttore televisivo, é apparso insieme al suo staff letteralmente circondato dalla polizia di Davos, quello che a giudicare da uniformi e simboli é sembrato a tutti gli effetti un vero e proprio corpo di polizia a sé, incaricato di monitorare soltanto il WEF .
Al momento degli accadimenti l’uomo si trovava infatti in Svizzera proprio con l’intento di fare un report sul Forum in svolgimento nella cittadina elvetica e sui delicati argomenti che sarebbero stati trattati in tema di salute, politica e ambiente. All’improvviso, dopo aver già avuto un primo controllo ed averlo passato, Posobiec é stato nuovamente fermato da poliziotti, questa volta arrivati su due minivan poco prima di riuscire a fare il suo ingresso alla sede del WEF e raggiungere l’interno del quartier generale. Ironia della sorte, Posobiec aveva finito da non più di un’ora un collegamento con Steve Bannon, durante il quale Steve aveva detto scherzando “Chiamate la sicurezza, Posobiec é libero, é il vostro momento”.
Nei video disponibili si vede una una ragazza dello staff di Posobiek porre legittime domande come “Scusate, perché state tenendo qui questo giornalista?” alla polizia, la quale tuttavia risponde di avere buone ragioni per fare verifiche su Posobiec, e quando la stessa ragazza chiede quale siano le ragioni di cui fanno menzione, la polizia risponde in maniera piuttosto rude “Non é certo a te che lo dobbiamo dire”. Da notare che più volte é anche stato anche chiesto di non fare riprese e di cancellare il materiale audio video in possesso dello staff, ordine che é stato palesemente disatteso.
Secondo quanto dichiarato dal giornalista, Posobiec ha presentato inizialmente i documenti d’identità ed il suo pass da giornalista, e tutto sembrava essere nella norma. Poi improvvisamente, “é come se fosse arrivato l’esercito”, dice l’uomo, su due camionette con fucili e altre amenità varie con cui é stato minacciato e tenuto recluso in un luogo contro la sua volontà. Nel mentre però, i poliziotti hanno notato (o forse già sapevano?) simboli riferibili a Turning Point USA e così la faccenda si é complicata ulteriormente.
Posobiec ha poi raccontato al Charlie Kirk Show, in onda su Turning Point appunto, che gli agenti alla vista dei simboli di Turning Point USA sono come impazziti e hanno cominciato a fare domande sempre più pressanti e incalzanti del tipo “Dicci cos’é Turning Point USA…” , oppure, “Che filmati hai fatto? Mostraceli” o ancora “Vieni con noi e vediamo cosa c’é nelle immagini di cui sei in possesso“. Kirk visibilmente scosso risponde “Jack, noi sappiamo che quello é il tipo di governo che loro vogliono portare in America, un governo dove il primo emendamento non esiste, oppure, se esiste, altro non é che una mera scritta su un pezzo di carta. Rimani forte e non mollare”.
Turning Point USA, la nota organizzazione no-profit statunitense, lo ricordiamo, nasce sulla base di valori diametralmente opposti a quelli che vengono esaltati al WEF, valori conservatori di ogni genere, in cui il gender, il sovranazionalismo o il controllo delle masse non hanno alcun posto. Ancora non é abbastanza chiaro il perché di tanta diffidenza? Lo spettro del Trumpismo che si infiltra al WEF non é tollerato, troppo pericoloso.
Posobiec ha poi rilasciato una dichiarazione indirizzata a Klaus Schwab in cui specificava che non avesse alcuna intenzione di spostarsi da dove si trovava, e che tra l’altro la polizia aveva perso un’occasione che ha definito “epica” poiché egli era in possesso di ben tre copie dell’hard disk del laptop di Hunter Biden. Probabilmente il messaggio che voleva lanciare al fondatore di Davos era che, entrato o meno all’interno del quartier generale della manifestazione, sapeva (e voleva che il mondo sapesse) che gran parte dei nomi dei 2000 partecipanti al WEF erano direttamente o indirettamente contenuti nel laptop. Un modo davvero unico per ridicolizzare un incontro che ormai é divenuto lo spettro di quello che era un tempo. Il WEF, lo ricordiamo, si tiene in una cittadina praticamente sotto sequestro, in cui vi sarebbero 5000 militari e la no-fly zone imposta da jet in volo continuo sull’area, come riportato da Reuters e come visibile in filmati sui social.
Tante, anzi potenzialmente tantissime le domande.
Alla fine perché tanta “riservatezza” se il WEF é davvero solo un incontro economico e politico? Perché forze militari speciali, se l’aura di cospirazione che circonda il forum é appunto solo una cospirazione? Perché la no fly zone e l’impossibilità di fare un report su un evento come un altro?
Per molti versi il WEF ricorda le riunioni del Bildeberg, il ben noto incontro annuale (anch’esso militarizzato) di circa 130 membri nato nel 1954 per volontà di David Rockefeller (é bene ricordarlo) e rappresentante l’élite politica, economica e finanziaria di quel mondo sovranazionale che da sempre prende le decisioni che davvero contano. Nessuno può o dovrebbe aver la possibilità disturbare questo universo parallelo dorato che funziona a meraviglia (per loro) da decenni, sia esso il WEF o il Bildeberg, che si tratti di Posobiec o qualsiasi altro giornalista.
Con un’unica grande differenza, che questa volta i personaggi dei due “conclavi” sembrano molto più nervosi del solito: forse che non siano più così convinti di avere tutto questo potere e che forse abbiano bisogno di nascondersi per operare al meglio dopo la massiva e inevitabile esposizione degli ultimi due anni?
Può essere che temano per la propria incolumità, tuttavia é l’inevitabile conseguenza del “cambiamento climatico” in atto, lì dove il green é davvero solo una delle tante nuance nella palette dei colori disponibili.
MARTINA GIUNTOLI
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