Nel film “L’avvocato del diavolo”, un sulfureo Al Pacino (il diavolo) rimprovera il suo giovane allievo, l’avvenente Keanu Reeves: sempre troppo vistoso, impossibile non notarlo. Guarda me, gli dice: io tengo un profilo più basso, così nessuno mi vede mai arrivare. Quando poi le vittime se ne accorgono, ormai è tardi. Bella lezioncina, quella: siamo nell’epoca in cui si racconta che le guerre divampano da sole, come le pestilenze, in virtù di qualche oscuro sortilegio. E persino i terremoti ci vedono benissimo, proprio come la sfortuna: sembrano colpire innanzitutto i disobbedienti.
Impossibile non ricordare che, dopo l’ultimo attentato ad Ankara prontamente attribuito ai curdi, la Turchia respinse al mittente le condoglianze recapitate dall’ambasciata americana. Il gran padrino del doppiogiochismo, Erdogan, tiene i piedi in due scarpe: è abile nel disputare tutte le partite. Dopo aver supportato i “ribelli siriani” (alias Daesh, o Isis), il leader turco – guardiano del Mar Nero – strizza l’occhio all’apparente avversario di ieri, la Russia di Putin, oggi presentata come Grande Satana da tutti i coristi occidentali.
IL TERREMOTO IN TURCHIA, PAESE NEL MIRINO DEGLI USA
Perché tante attenzioni verso quell’autocrate turco, dall’aspetto bifronte? Avamposto atlantista in Medio Oriente eppure sponsor, si dice, dei Fratelli Musulmani: uno strano club che – tra le altre cose – si sarebbe preso Tripoli dopo esser stato sfrattato dall’Egitto. La prima risposta forse è semplice: la Casa Bianca non ama Erdogan perché sta tuttora ostacolando l’ingresso nella Nato dei paesi scandinavi. Fino a ieri, erano un modello virtuoso (e scomodo) di pacifica, illuminata neutralità. Clamoroso il caso della Svezia, che si vantò per due secoli della sua posizione non allineata, non disponibile a nessun tipo di escalation.
Già, la Svezia. Pace e benessere: il miglior welfare d’Europa. Era il 1986 quando il primo ministro, Olof Palme, fu assassinato all’uscita di un cinema. Altri tempi: allora era pensabile – a Stoccolma, almeno – che il capo di un governo se ne potesse andare a spasso la sera, senza scorta, con la moglie sottobraccio. Come il diavolo incarnato da Al Pacino, il killer gli piombò alle spalle. Chi era? Non lo si è mai saputo. Nella mente del grande giallista Stieg Larsson si fece strada un’idea. Alla polizia, lo scrittore consegnò un intero scatolone di tracce e indizi, sotto forma di documenti. L’indagine però non decollò mai. E Larsson fu trovato morto in modo anomalo, proprio come uno dei suoi famosi personaggi.
UCCIDERE OLOF PALME, PROFETA DELLA GIUSTIZIA
Negli anni ’80, Olof Palme – leader carismatico dei socialisti europei – incarnava qualcosa che prima si era visto probabilmente solo in Italia, con Mattei e poi Moro: lo Stato come virtuale arbitro del business, capace cioè di intervenire nell’economia e supportare il lavoro. Niente licenziamenti: il governo interveniva – come azionista – per tamponare le crisi industriali e risollevare la produzione. Era decisamente troppo, per il diavolo neoliberista che sognava di arraffare tutto, a suon di privatizzazioni. Morto Palme, l’avrebbe fatto più facilmente: grazie alla nuova teologia poi imposta – anche a suon di spread – tramite i suoi maggiordomi della nascitura Unione Europea.
Peggio ancora: il prestigioso Palme era candidato a diventare il segretario generale delle Nazioni Unite. Nel suo curriculum c’era tutto quel che serviva per propiziare la nascita di un mondo nuovo e più umano. Lo statista svedese si era scagliato contro la dittatura sovietica e contro l’imperialismo statunitense. Aveva condannato le violenze di Israele sui palestinesi. Era stato il primo a denunciare l’apartheid in Sudafrica e la scandalosa detenzione di Nelson Mandela. Viene da domandarsi: poteva, un uomo simile, salire in cattedra a livello mondiale? Il rischio era intollerabile, per il diavolo: l’Onu (oggi ridotta a caricatura di se stessa) sarebbe ulteriormente cresciuta in autorevolezza e influenza. Risultato: meno bugie, meno ingiustizie, meno guerre.
DOMINA L’UOMO NERO, IL FANTASMA DEL TERRORE
Da allora, l’arte diabolica del dividere ha avuto campo libero. Lo schema è tragicamente identico a se stesso, ripetuto ogni volta. Separo l’umanità in due blocchi, poi dichiaro che il capo del fronte nemico è l’Uomo Nero. Quindi scateno una guerra senza frontiere, per abbatterlo. Il vero scopo è seminare diffidenza e paura, alimentando l’odio. Quando poi l’Uomo Nero cadrà, basterà trovargli un successore. La costante? Il banco vince sempre: in questo gioco al massacro ci rimettiamo tutti. Anche perché non lo vediamo mai arrivare, quel tizio che si insinua tra di noi con il suo arsenale di menzogne.
Quando poi le frottole non bastano più, si passa all’azione. Un colpo di pistola a Stoccolma, una carica di esplosivo nelle acque del mare nordico che bagna la Svezia. Che si tratti di capi di Stato o di gasdotti, la mano del killer è la stessa. Idem il mandante: un’ombra invisibile e insospettabile. Ha un potere quasi illimitato, la fabbrica mondiale dell’Uomo Nero: è riuscita a far credere che le Torri Gemelle siano state abbattute da quattro beduini analfabeti, beffando l’inviolabile superpotenza. Vent’anni di successi, quindi di lutti: fino a convincere milioni di occidentali che i russi, in quanto tali, non facciano parte a pieno titolo della famiglia umana.
NAZISMO IERI E OGGI, L’ODIO ARMA GLI ASSASSINI
Corsi e ricorsi: un altro diavolo, in azione cent’anni fa, chiamò “untermenschen” gli esseri umani che voleva annientare. Casualmente, oggi, quello stesso marchio – la croce uncinata – ha firmato le imprese degli squadroni della morte sguinzagliati in Ucraina. Vittime, gli slavi di lingua russa: gli “untermenschen” del terzo millennio. Per otto anni presi a cannonate nel Donbass, nelle loro case. E bruciati vivi a Odessa nel palazzo dei sindacati. Non c’era Keanu Reeves, a Kiev: lo si sarebbe notato. Nessuno seppe per tempo di certe telefonate, grazie alle quali organizzare nei minimi dettagli quello che si può chiamare, tecnicamente, colpo di Stato.
Di cosa sia capace, il mago, lo abbiamo appena visto: con il pretesto della pandemia (vera o presunta) è riuscito a seminare la paura universale, arrivando a separare padri e figli. Tu puoi entrare, tu invece resti fuori. Se vince sempre, il banco (o quasi sempre), forse è perché siamo comunque noi, a spalancargli la porta: noi, pronti a credere alla prima versione dei fatti. Là in fondo c’è sempre l’Uomo Nero: il mostro da temere. Un grande intellettuale poco celebrato, Francesco Saba Sardi, scrisse qualcosa di esiziale sulla “istituzione dell’ostilità”: che si perpetua grazie alla nostra tacita connivenza. Se invece provi a tendere la mano, il nemico (chiunque sia) cessa di esistere. Si scopre che era solo un brutto film, la sua pretesa vocazione al male.
LA LEZIONE DI MANDELA: SAPER PERDONARE
Il primo a saperlo era sicuramente Mandela: appena eletto mise fine a ogni strascico fratricida. Permise agli ex aguzzini bianchi di conquistarsi il perdono dei parenti delle vittime. Lacrime sincere: una bonifica innanzitutto spirituale, da cui poté nascere il Sudafrica di oggi. Vero, il grande mentitore conta sulla nostra memoria corta: spera sempre che dimentichiamo le sue vittime, i nostri eroi di ieri. Se fossero vivi, oggi, sarebbe semplicemente impensabile assistere alla smisurata magia nera nella quale siamo immersi.
Non c’è una una sola ragione, sulla Terra, che ci impedisca di tenderci la mano vicendevolmente. Smascherare gli impostori è quindi il primo passo, ineludibile, per uscire finalmente dalle tenebre. Bisogna proprio imparare a riconoscerlo, quel tizio, quando arriva. Avendo comunque ben presente che il banco, alla fine, perderebbe solo in un caso: se smettessimo di odiare, di lasciarci impaurire. Il diavolo (diabàllo, diabàllein) si annida nel lasciarsi separare. Una volta divisi, il gioco è fatto. Non sta diventando anche monotono, lo spettacolo della nostra ennesima sconfitta?
GIORGIO CATTANEO