Presto o tardi doveva scappar fuori la parolina magica elettoralista “Ius Soli”, per giustificare l’inconsistente clamore dedicato a Khaby Lame, un ragazzino di origini senegalesi residente a Chivasso, che, come tanti altri suoi coetanei, ha cercato popolarità sui social e l’ha trovata.
E sin qui nulla di male, anzi, gettare in qualsiasi forma di creatività partecipata la cattività imposta in due anni di reclusioni domestiche alternate è certamente preferibile al deprimersi o al drogarsi.
Ma da questo a fare del ragazzo un “fenomeno” pompato dai media mainstream come educativo, e decantato come primato di italianità social nel mondo, ce ne passa. O dovrebbe passarcene (anche perché non è italiano, il ragazzo, non essendo italiani i suoi genitori).
Ebbene, il suo successo consiste nell’imbastire delle scenette volte a ridicolizzare, attraverso una mimica piuttosto essenziale e (soprattutto) afasica, problemi pratici di uso comune, come lo stappare una bottiglia, con l’intento solo apparentemente minimalista di smitizzarne soluzioni più complesse e articolate.
Fa ridere? Non fa ridere? Ognuno rida di quel che vuole, almeno su questo siamo ancora in democrazia (forse…).
Quel che ci insospettisce e inquieta è l’operosità mediatica della propaganda mainstream nell’idolatrare, soprattutto agli occhi dei giovanissimi, una forma di ironia che reca seco un messaggio del tutto regressivo traducibile in: “Inutile allambiccarsi troppo il cervello e sprecare fiumi di parole”, quando qualsiasi attività umana può essere basicizzata all’osso e privata di quel logos differenzialista che è visto dai sostenitori del great reset e della cancel culture come nemico giurato del globalismo.
Per quel che ci riguarda, ai ragazzi andrebbero divulgate la capacità critica, la spinta creativa, la pulsione agonistica; non un mortorio cognitivo ed emozionale che spinge ben più verso i film di Romero, che non verso le geniali intuizioni tecniche di Archimede.
Accà nisciun’è fesso, cari globalisti.