La velocità con cui si susseguono fasi politiche impone a chi cerchi di incidere sull’esistente una continua capacità di rimodulare priorità, tecniche, e strategia per quello che deve essere il primo obiettivo di un movimento di resistenza, declinata ai giorni nostri.
E cioè generare, infondere consapevolezza nelle persone in modo da diffondere l’idea che gli uomini e le donne devono essere protagonisti delle loro vite e non semplici spettatori di una sceneggiatura o di una partitura già scritta da altri.
MISURA COLMA, PIAZZE VUOTE
Come già abbiamo scritto su questo blog, la velocità delle fasi politiche è contemporaneamente causa e conseguenza di un approccio assolutamente istintivo ed emotivo al fare politico, che genera senza soluzione di continuità esaltazione e depressione nei soggetti che intenderebbero abbracciarne l’impegno.
Che ci troviamo adesso in una di quelle fasi, è dimostrato dal crollo di partecipazione nelle piazze, in un momento in cui – razionalmente – tutto spingerebbe alla lotta. Esempio perfetto, le manifestazioni con più sigle che partecipanti, indette per celebrare un generico richiamo alla “unità”, tanto strumentale quanto poco efficace.
Quando dunque la politica intesa letteralmente sembra allontanare o addirittura “spaventare” la popolazione, è evidente che l’arma da utilizzare, la strada maestra, è quella di affidarsi a una strategia di medio-lungo termine prevalentemente metapolitica e culturale. Il successo delle proiezioni di documentari come Invisibili, in un momento di desertificazione come quello che viviamo, dimostra che una platea ampia di persone sensibili a certi temi e battaglie non è affatto scomparsa. Essa tuttavia desidera essere approcciata in una maniera più sfumata e al contempo dagli orizzonti più vasti di quanto avverrebbe in un incontro “politico”.
Insomma, se mai non lo fosse, questo è il momento della cultura.
È IL MOMENTO DELLA CULTURA
Occorre riprendere in mano quella idea di reti parallele immaginata nel periodo del lockdown e delle zone rosse, operare soprattutto sul far germinare un pensiero, una creatività, una arte che siano davvero “nuove” e che possano ispirare alla battaglia quante più persone possibili.
Parlo di “novità” in virtù del fatto che dobbiamo imporci di generare forme di cultura e di arte che davvero non siano imitative rispetto al mainstream, altrimenti confermeremmo di essere immersi in un immaginario che è vincente nel profondo poiché ha sconfitto anche la nostra capacità di creare.
Occorre da questo punto di vista un lavoro organico, meticoloso. E naturalmente occorre che tutto questo sia inserito – ma ciò dovrebbe quasi essere automatico – in una cornice di pensiero che è politica, laddove, come diceva Pertini, “fare cultura significa soprattutto creare coscienza civile”.
Nonostante alcuni tentativi meritori, da guardare con affetto, la strada da percorrere in questo senso è ancora lunga e non è permesso perdersi in atteggiamenti ondivaghi.
Chi scrive è al lavoro su vari ambiti per dare un segnale netto, chiaro.
La liberazione delle menti passa inevitabilmente anche da questo.
ANTONELLO CRESTI
Vicesegretario Ancora Italia Sovrana e Popolare (Aisp)