Un vero e proprio topos teorico di tutta la cosiddetta area del dissenso è quello che imporrebbe ai suoi promotori e sostenitori la fuga dalle categorie tradizionali di destra e sinistra.
Tale necessità teorica fu individuata per la prima volta in termini meta-politici dal filosofo francese Alain de Benoist, che già alla fine degli anni Settanta del secolo scorso individuava in questa fase di oltrepassamento una priorità per un nuovo pensiero.
In Italia queste argomentazioni furono riprese dal pensatore Costanzo Preve, che al tema dedicò il suo testo Destra e Sinistra, uscito nel 1998 e nato come risposta a Norberto Bobbio.
Queste elaborazioni sono valide per qualsiasi movimento che intenda ripensare le vetuste categorie retoriche e sostituirle con altre più utili a leggere la complessa realtà odierna.
È evidente infatti che le demarcazioni politiche tradizionali sono oggi insufficienti per affrontare le sfide che ci attendono. Inoltre, come se ciò non bastasse, si ha difficoltà a far aderire a questi concetti battaglie o valori che tradizionalmente sono stati associati all’una o all’altra parte.
Dunque un superamento di simili recinti è prospettiva utile e auspicabile.
Vi sono però alcune considerazioni necessarie affinché l’idea di “andare oltre alla sinistra e alla destra” non divenga un mero slogan svuotato di senso: il primo argomento di cui tenere conto è che l’istanza sin qui rappresentata non coincide affatto con quelle comunemente definite “di terza posizione” (oltre il comunismo e il capitalismo) che, dai tardi anni Sessanta in poi, da sempre sono state patrimonio di formazioni di estrema destra.
Il quadro storico si è progressivamente reso più complesso e sarebbe insufficiente situarsi semplicemente oltre queste due grandi ideologie. E poi in nome di cosa?
In maniera più stringente, bisogna inoltre ricordare che l’esigenza di superamento delle categorie politiche tradizionali, nella fase di ascesa del M5s, è stata affermata per rivendicare una post-ideologia che contrapponeva “alto contro basso”. Queste sono semplificazioni che, per quanto apparentemente corrette, inevitabilmente portano ad un pensiero e ad una azione svuotate di senso, destinate ad approdare comunque alla palude mefitica del Pensiero Unico.
Occorre dunque operare il superamento di cui stiamo parlando non in nome di una presunta inesistenza di “destra” e “sinistra”, come molto fanno.
Tale illusione poggia le basi su un falso teorico, allorché nella psicologia individuale e collettiva di questo Paese le vecchie categorizzazioni esistono eccome, e fungono inevitabilmente da bussola in molti casi.
In aggiunta è bene ricordare ciò che testualmente affermava il de Benoist, ossia che la svolta sarebbe consistita nel “pensare alternativamente ciò che sinora è stato pensato contraddittoriamente”. Dunque noi non dobbiamo negare alcunché, abbiamo il compito semmai di operare una sintesi di pensiero per traghettarla oltre.
Su questo il lavoro da fare è ancora molto poiché, come dicevamo, finché ci si limita agli slogan tutti paiono essere d’accordo.
Quando però si passa alla praxis, l’usuale atteggiamento sembra quello di voler preservare la propria esperienza di provenienza, per ghettizzare le altre. Nell’altro da sé invece bisogna individuare una opportunità, che impone non di abbandonare ciò che si è o che si pensa, ma di trovare un arricchimento e un completamento nella diversità.
Se sapremo fare questo, potremo inaugurare una nuova fase politica, tuttavia è bene dire una ultima volta che non esistono scorciatoie.
ANTONELLO CRESTI