«[…] avendo come obiettivo la salute e non la mortificazione dei refrattari, si potrebbe applicare in modo variabile: ad esempio in treno dividendo le carrozze, come era una volta per i fumatori».

È questa la proposta dell’assessore regionale alla Cultura in Emilia Romagna nella giunta di Stefano Bonaccini, Mauro Felicori, che sta facendo discutere. In un post su Facebook Felicori ha ribadito la sua “posizione netta a favore di una applicazione rigorosa del Green Pass”, proponendo la divisione in carrozze tra vaccinati e non vaccinati. Il post di Felicori ha scatenato aspre polemiche e divisioni (sono quasi duecento i commenti su Facebook tra chi approva e chi grida alla discriminazione) e sui social impazza l’hashtag #apartheidvaccinale.

Tra le tante voci discordanti, quelle di Fratelli d’Italia e Lega. In una nota Giancarlo Tagliaferri consigliere regionale di Fratelli d’Italia ha scritto:

“Bonaccini dica all’assessore Felicori che l’apartheid è finita, Rosa Park ha vinto la sua battaglia contro gli autobus per soli bianchi e anche in Svizzera sono scomparsi i cartelli ‘Locali per cani e stranieri'”.

La proposta di Felicori, lungi dall’essere una boutade, non è isolata. Che il green pass non fosse una misura sanitaria – dal momento che anche i vaccinati possono infettarsi e contagiare – ma un mezzo di controllo e di schedatura, di obbligo indiretto e di discriminazione è ormai noto: il timore che si stia andando verso la creazione di una nuova apartheid – dove i “paria” sarebbero coloro che sono privi di tessera verde – è fondato ed è testimoniato dalle recenti esternazioni di governatori ed esponenti politici.

Se il post di Felicori riecheggia la lotta di classe sul treno immortalata dal film Snowpiercer (dove una nuova glaciazione costringe l’umanità superstite a rifugiarsi su un treno in moto perenne e rigidamente diviso in classi) ed evoca l’ambientazione distopica di Cassandra Crossing, l’estensione del green pass che il governo Draghi si prepara a varare questa settimana viene strumentalizzata in queste ore per seguire pedestremente le tappe della Finestra di Overton e sdoganare per gradi provvedimenti sempre più liberticidi.

Qualche recente esempio: il presidente del Friuli Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga intende portare all’attenzione dei suoi colleghi governatori la creazione di zone vietate ai non vaccinati e chiudere, in caso di lockdown o zona rossa, soltanto a coloro che saranno sprovvisti di lasciapassare verde. Dalla discriminazione si passerebbe alla ghettizzazione e all’interdizione progressiva della vita civile a coloro che non sono vaccinati.

Su posizioni draconiane anche Giovanni Toti che si è espresso a favore dell’obbligo vaccinale anti-Covid. Un mese fa il governatore della Liguria aveva proposto il lockdown solo per i non vaccinati.

Ben note le esternazioni di Vincenzo De Luca, sostenitore dell’obbligatorietà della vaccinazione. Il governatore della Campania ha proposto gli abbonamenti per i trasporti pubblici gratis destinati solo agli studenti  vaccinati contro il Covid e in possesso del Green Pass.

In Sicilia, per chi non è in possesso di certificazione verde valida, si applicano invece le restrizioni agli spostamenti dalle ore 22 alle ore 5 del giorno successivo (il coprifuoco).

Insomma, seguendo uno degli slogan del Socing orwelliano impressi sulla facciata del Minimor – La schiavitù è libertà –, il framing che si sta diffondendo da numerosi governatori è che il green pass sia una “patente di libertà”, come  ha precisato Luca Zaia.

Con un vero e proprio ribaltamento e svuotamento dei termini, si è fatta passare l’idea che il green pass sia sinonimo di libertà, quando il lasciapassare verde ha uno scopo ben preciso: quello di esasperare i cittadini e spingerli a farsi il vaccino. È l’escamotage con cui il governo, in assenza di obbligo vaccinale, punta a far vaccinare più gente possibile. E per propagandare questa deriva si sta inondando la società di proposte choc in modo da continuare a spaventare i cittadini e a tenerli divisi, innescando un conflitto sociale orizzontale, in modo che parte dell’opinione pubblica si dimostri a favore di queste forme di discriminazione.

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