Su Tim, ossia sul primo operatore di telefonia fissa e secondo per la mobile in Italia, è in atto uno scontro
all’ultimo sangue sul piano finanziario e persino geopolitico. Si tratta d’altronde di un’azienda strategica non solo da un punto di vista economico (40 mila dipendenti e un fatturato di 12 miliardi) ma anche politico.
L’infrastruttura delle telecomunicazioni è infatti uno dei punti nevralgici del controllo, anche finanziario e militare, di qualsiasi Stato. Nel caso italiano l’operatore del settore strategico è finito sotto controllo straniero, nella fattispecie francese, essendo Vivendi l’azionista principale con il suo 24%, mentre la quota di Cassa Depositi e Prestiti non arriva neppure al 10%, a cui si somma il 3,5% di operatori istituzionali italiani.
Il fatto che i francesi controllino un’azienda di tale importanza per la sicurezza nazionale italiana la dice lunga sul nostro ruolo nell’UE e su come la creazione di “grandi gruppi europei che possano competere sul mercato globale” abbia nascosto una serie di acquisizioni dei nostri gioielli industriali senza che fosse possibile per noi neppure avvicinarci ai pezzi forti del sistema produttivo tedesco o francese. Ma ora Tim rischia di diventare americana.
I risultati del gruppo infatti sono tutt’altro che soddisfacenti, con un fatturato in calo e 35 miliardi di indebitamento, e il fondo americano Kkr ha offerto 11 miliardi di euro per Tim, con una proposta di acquisto delle azioni a 50,5 centesimi, che ha determinato un forte aumento del valore in borsa delle azioni.
La questione della proprietà di Tim, dalla sua sciagurata privatizzazione nel 1997 ad oggi, è sempre stata di natura politica più che economica ed ha avuto esiti disastrosi da un punto di vista finanziario. La possibile acquisizione di Tim da parte di Kkr non fa eccezione, e testimonia uno spostamento negli equilibri politici. Vivendi, infatti, è divenuto l’azionista di maggioranza di Tim nel 2016, quando al governo c’era Renzi e negli Usa Trump.
In quella fase la Francia ha portato avanti una massiccia campagna di conquista economica sull’Italia, sfruttando la debolezza del nostro Paese (sotto scacco per la crisi del debito), la connivenza del partito francese in Italia, fortissimo nel PD, e il deterioramento del rapporto con gli Usa seguito all’elezione di Trump. Oggi la situazione è radicalmente mutata, la Francia si trova in una posizione di maggiore debolezza, sia economica che politica, e i rapporti tra il governo italiano di Draghi e gli Usa di Biden sono notevolmente migliori.
Ma non è questo l’unico motivo per cui un passaggio dai francesi agli americani della nostra azienda di
telecomunicazioni è visto con un occhio favorevole da molti. Macron infatti è in rotta di collisione con Vivendi e il suo capo Bollorè, che sta appoggiando con il suo gigantesco impero mediatico il candidato della destra nazionalista Zemmur, l’uomo che sta mandando in fibrillazione il sistema politico francese. L’acquisizione da parte del fondo americano dunque sarebbe un modo per il governo italiano di ribadire il suo atlantismo e per quello francese per colpire un pericoloso nemico.
Al fianco di KKR è scesa in campo anche JP Morgan guidata in Europa dall’ex ministro dell’economia Vittorio Grilli, e anche questo è indicativo di come i vertici dei governi italiani siano stati occupati da uomini alle dipendenze di multinazionali straniere. Non è però sicuro che l’operazione riesca, e Vivendi ha alzato una barriera, affermando che l’offerta di Kkr è assolutamente insoddisfacente e che il loro investimento in Tim è a lungo termine.
Quello che invece è sicuro è che una grande azienda di Stato strategica è stata svenduta con risultati disastrosi in quello sciagurato periodo di privatizzazioni neoliberiste che ha profondamente danneggiato il tessuto industriale e la sovranità nazionale italiana, ed è finita in mani straniere grazie a una classe politica espressione di poteri economici esteri, ed oggi nessuno può e vuole porre fine a tutto questo e riportarla nelle mani dello Stato italiano dalle quali non avrebbe mai dovuto essere tolta.
ARNALDO VITANGELI