Negli Stati Uniti Epoch Times produce il documentario Gender transformation: the untold stories (“La transizione di genere: le storie non raccontate”). Storie di ragazzi e ragazze che, consigliati se non addirittura spinti dalle istituzioni, hanno intrapreso il percorso cambiando le loro vite per sempre.

Questo il leit motiv. Diagnosi di disforia di genere alla prima visita. Ormoni alla seconda. Dopo meno di un anno, in lista per gli interventi chirurgici. E mentre tutto questo accade, i genitori, pena l’accusa di abuso, non possono in alcun modo fermare i figli. Così quello che un tempo era una rara eccezione, oggi è divenuta la norma.

Kali Fontanilla, dopo 15 anni di carriera nella scuola pubblica statunitense, è oggi fondatrice e insegnante dell’Exodus Institute. Si tratta di un’organizzazione che aiuta i genitori nel formarsi ed informarsi per la scuola parentale. La donna racconta: “Ero un’insegnante di scuola pubblica. Cinque anni fa nessuno sapeva cosa fosse il gender fluid. Nessuno nemmeno ne parlava. Oggi è come se fossimo nel bel mezzo di una pandemia. Soprattutto tra le ragazze, sono loro quelle che maggiormente fanno la transizione. Credo sia devastante sapere che la maggior parte dei giovani in età adolescenziale che hanno crisi di identità sono spinti dai loro stessi insegnanti. Oggi la teoria gender fa addirittura parte dei programmi scolastici”.

Christy LoZano, attivista e insegnante, racconta che “nella classe della figlia della mia migliore amica, solo due studenti su 35 si identificano come eterosessuali. Questa è pura follia”.

Generalmente, quando si parla di identità di genere, ci si riferisce agli studi del dottor Robert J.Stoller e del dottor John Money condotti negli anni Sessanta. Per la prima volta si cercava di provare che l’identità di genere non fosse strettamente connessa con l’identità biologica, bensì con i canoni imposti dalla società.

“In realtà”, racconta la psichiatra Miriam Grossman: “Gli unici studi condotti per provare che esistesse la teoria gender fallirono miseramente. Chi non ricorda la storia dell’esperimento dei gemelli Reimer? Money era convinto che l’identità di genere fosse qualcosa di appreso e non di biologicamente instrinseco all’individuo. Per provare la sua teoria, scelse il caso dei gemelli Reimer. Uno dei due aveva subito dei danni dall’intervento di circoncisione cui era stato sottoposto. I genitori dei bambini, non sapendo cosa fare, decisero di consultarsi con l’esperto dell’epoca, il dottor Money. Questi disse loro di non preoccuparsi. Il loro bambino aveva solo 18 mesi, quindi avrebbero potuto crescerlo come fosse stato una femmina”.

E così fecero i coniugi Reimer.

Il bambino fu dapprima sottoposto ad una terapia ormonale, poi a diversi interventi chirurgici. Money riportò sempre l’esperimento come un grande successo. Ma si “dimenticò” sempre di raccontare che la storia terminò con il suicidio del giovane paziente.

Nel documentario si raccontano diverse storie. Tuttavia, tra tutte è quella di Yaeli a fare da filo conduttore. Un’adolescente come tante, ma con gravi e frequenti crisi depressive. Crisi sempre più profonde che mettono a dura prova non solo lei, ma l’intera famiglia. La madre, Abigail Martinez, consiglia a Yaeli di consultare uno psicologo ed è sollevata quando la figlia decide di ascoltare le sue parole, non sapendo che quello sarebbe stato l’inizio di un incubo.

“Si sentiva depressa, aveva crisi molto gravi. Un giorno si recò da uno psicologo. Gli raccontò di come suo fratello fosse più felice di lei e di come la sua vita fosse molto più facile della sua. Fu allora che la psicologa le chiese se le sarebbe piaciuto diventare un maschio”, racconta la signora Martinez. La specialista indirizza dunque la ragazza ad un gruppo in incognito per studenti Lgbt, il gruppo della dottoressa Garfield.

La psicologa Pamela Garfield Jaeger racconta di come sia cambiato il mondo degli psicologi: “Mentre una volta i terapisti cercavano di indagare la mente dei ragazzi non solo per comprenderne i disagi ma soprattutto per offrire aiuto, oggi riconducono tutto all’identità gender”.

“Invece di farti comprendere problemi ed insicurezze, i medici ti offrono la strada più facile sul momento, per i ragazzi e soprattutto per loro”, continua la Garfield: “Quando lavoravo a Palo Alto ero responsabile di un gruppo di aiuto per giovani con disagi. I ragazzi venivano e potevano esprimere la loro identità di genere senza che i genitori fossero messi a conoscenza. All’epoca non mi rendevo conto del pericolo, dei danni che il gruppo produceva sui ragazzi. Pensavo fosse una cosa buona quella di cercare di supportare degli adolescenti senza l’interferenza della famiglia. Ora capisco”.

Jennifer Bilek, scrittrice d’inchiesta, invece si è posta sin dall’inizio più di una domanda sulla questione: “Tutte le istituzioni, i media e qualsiasi altra cosa che vi venga in mente sta promuovendo la teoria gender. La domanda che dobbiamo farci è perché questo sta accadendo. Video post operatori di giovani che hanno fatto la transizione sono postati in continuazione e mai censurati”, continua. Per quale ragione in virtù di un 1% della popolazione che soffre di disforia di genere, si deve promuovere la transizione di genere al restante 99%?”.

L’avvocatessa Erin Friday ha scoperto che la figlia si era trasformata in Evan casualmente. E per lei è stato un duro colpo. Frugando nell’Ipad della ragazza, ha appreso infatti che gli insegnanti le hanno cambiato nome (e relativi pronomi) senza avvertire la madre.

“Quando sono venuta a conoscenza dei fatti, mi sono recata a scuola”, racconta la Friday: “Tuttavia mi sono imbattuta nella carta per i diritti degli studenti Lgbt. Impedisce a me come madre di sapere cosa stanno facendo a mia figlia, ma permette a loro da sconosciuti quali sono di fare di mia figlia quello che vogliono. Inoltre per comprendere cosa stava accadendo ho dovuto cercare un medico fuori dal mio Stato di residenza, la California. Se mai qualcuno avesse accettato di mettere in discussione la diagnosi di disforia di genere, avrebbe potuto perdere la licenza”.

Abel Garcia, un altro giovane adulto che sta affrontando la detransizione ha dichiarato: “Nessuno si è mai interessato a quelli che erano i miei reali problemi. Per quel che ne so potrei essere autistico e questa potrebbe essere la causa della mia timidezza. Ma per loro c’era solo una diagnosi: disforia di genere”.

Walt Heyer – fondatore di sexchangeregrets.com – ha raccolto le dolorose testimonianze di più di mille persone, facendo tesoro personale esperienza di soggetto che ha vissuto su di sé la detransizione.

“Quando ero piccolo mi hanno detto che ero una femmina, 72 anni fa”, racconta Heyer: “Me lo dissero per farmi accettare l’idea di essere stato molestato dopo esser stato vestito da bambina. Invece di risolvere quel trauma mi hanno detto che quella parte di me era giusta. Dovevo diventare donna. Molti di coloro che hanno ricevuto abusi da piccoli desiderano rimuovere i loro genitali perché si sentono rassicurati, ma non funziona così”.

L’endocrinologo Michael Laidlaw sostiene che i veri pionieri nella transizione di genere sono stati gli olandesi: “Nei Paesi Bassi ci sono stati casi di bambini di 8 o 9 anni”. Tuttavia la dottoressa Katherine Welch afferma che “ormai l’età non è più un problema, né un tabù. Ma sfatiamo pure un mito. I bloccanti della pubertà non hanno solo effetti reversibili come si dice. Lo sviluppo cognitivo ad esempio non è totalmente formato sino almeno ai 20 anni. In questo modo è un lobo del cervello ad essere messo in pausa”.

E una cosa che non accade con gli ormoni è il miglioramento dei sintomi psicologici. Chi era depresso, rimane depresso. E spesso i genitori se ne accorgono. Ma quelli che si oppongono al sistema finiscono per perdere i loro figli. Vengono accusati degli abusi più svariati. Ed è proprio allora che cercano di compiacere il sistema più che possono. Questo è ciò che è avvenuto alla signora Martinez.

“Quando ho perso la custodia di mia figlia Yaeli, ho fatto tutto quello che era possibile fare per riaverla con me. Corsi, aggiornamenti, udienze. Ogni volta in tribunale c’erano le associazioni Lgbt che la manipolavano dicendole che doveva cominciare subito il trattamento ormonale, altrimenti sarebbe stato troppo tardi. A me dicevano invece di firmare le carte e di non oppormi alla transizione”, racconta la signora Martinez.

Beh una risposta al perché questa agenda sia così spinta forse c’è. I soldi. Spesso sono stati proprio gli specialisti a raccontare quanto fruttano le chirurgie di transizione agli ospedali. Si arriva anche a 40.000 dollari per un paio di protesi impiantate. La dottoressa Welch afferma che “sicuramente c’è dietro almeno una questione di soldi. Un adolescente che ha fatto uso di ormoni, sarà un adulto sempre malato e quindi un ottimo cliente di Big Pharma”.

Per i medici non è facile opporsi perché le compagnie che governano l’agenda sono le stesse che pagano per la maggior parte il loro stipendio. Qualcuno di volta i volta si dissocia dalla massa, ma spesso in seguito alla minaccia di licenziamento ritorna sui suoi passi.

Oggi molti di coloro che sono stati menzionati nel documentario sono diventati attivisti per informare genitori e ragazzi su come la transizione cambi la vita per sempre e di come l’auspicata soluzione possa essere molto peggiore del problema. Molti, tranne uno. Yaeli, la figlia della signora Martinez, infatti si è uccisa nel settembre del 2019, travolta da un treno e dai fantasmi della sua vita.

“Molte delle nostre manifestazioni sono interrotte o quanto meno disturbate dall’irruzione degli attivisti Lgbt. Io non li odio, nonostante la storia di mia figlia. Anche loro sono vittime del sistema tanto quanto lo è stata Yaeli”, confessa la signora Martinez: “Il fatto che siano lì a dover mostrare a tutti i costi qualcosa di cui dicono di essere felici mostra che felici non sono. Spero che cambino idea e che mia figlia non sia morta invano.”

MARTINA GIUNTOLI

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