Trieste.
La città di Italo Svevo. Dei caffè letterari. Di Joyce e anche di Freud.
Piazza Unità d’Italia, la più grande d’Europa che s’affacciata sul mare.
Il “salotto buono” dei triestini e di coloro che la visitano.
Trieste elegante, mitteleuropea, crocevia di popoli e culture.
Fino ad oggi per me questa città incantevole incarnava solo il ricordo di un week-end (nemmeno troppo) romantico, mille anni fa.
Ma da ora in poi le immagini della folla inerme di uomini, donne, bambini, anziani e disabili investita dalla violenza degli idranti e dei gas lacrimogeni, durante un presidio pacifico per rivendicare il diritto al lavoro contro un’inaudita follia divenuta legge di fatto, da oggi non potrò dimenticarle mai più. E quando penserò a Trieste, per primo mi comparirà il volto di colui che è il protagonista principale di una battaglia combattuta per tutti noi.
Stefano Puzzer, questo eroe contemporaneo, dignitoso, a tratti quasi rude, puro nelle parole e nelle azioni, che si rivolge al Cielo seduto a terra, saldo nei propositi e saldamente ancorato alle mani dei suoi compagni di lavoro. Un operaio portuale, uno fra tanti, che ha deciso di non piegarsi all’infamia di una tessera verde che ci catapulta nel secolo scorso, quando agli Ebrei e a molte minoranze venne imposta la morte sociale, prima della soluzione finale, ovvero il loro annientamento.
Si schermisce, Stefano, quando si tenta di intervistarlo, quando è inneggiato e applaudito, perché “sono uno di voi, non uno speciale”. Eppure la rettitudine, la coerenza, e ciò che ci rende ancora umani, è merce rara di questi tempi.
Mi domando stupidamente se i poliziotti e i carabinieri in tenuta anti-sommossa, in assetto da guerra (contro quale nemico?), prima di caricare i manifestanti, abbiano salutato e baciato mogli e figli. Mi chiedo se preghino, e quale Dio. E mi auguro dal profondo del cuore che abbiano provato almeno un po’ di vergogna, che qualcuno di loro, anche uno soltanto, si sia pentito del male cagionato e della paura che è stata evocata.
Ci sono crimini che non basta un’esistenza a scontare. Terrorizzare un bambino è uno di questi. I genitori al porto, quando hanno compreso cosa stava per accadere, hanno messi in salvo i piccoli, frettolosamente. Nessuna compassione, non un’incrinatura nell’operato di chi dovrebbe difenderci, e invece ci attacca, vigliaccamente.
Non ve lo hanno insegnato che non si spara alle spalle? Che non si aggredisce chi alza le mani ed è innocuo? Non sapete che si disattende a ordini ingiusti e anti-costituzionali? Se si è persone, e non marionette i cui fili vengono tirati da un potere impazzito.
Quelle migliaia di persone respinte con ferocia dal mare verso la terra, quegli uomini e quelle donne ostinati e liberi che in Piazza Unità d’Italia hanno deposto fiori dinnanzi ad altri esseri umani in divisa, dimentichi costoro – ahimè – della pietà e dell’amore che ci sostengono, sono la mia speranza, che non tutto sia perduto, che una luce, seppur minuscola, possa splendere e illuminare il buio di queste notti ormai fredde.
Trieste, resa nobile in questo nostro secolo da gente che si spacca le mani e la schiena, per due lire, e ha scelto di rinunciare a stipendio, riposo, calore di casa, e rischiare la propria vita per salvare la nostra.