Tirare la cinghia in senso metaforico e con ogni probabilità anche in senso reale: potrebbe esser questo il sunto della situazione alimentare in Italia.

La causa è guerra in cui i governanti ci hanno schierato contro la Russia e a fianco dell’Ucraina. L’effetto è la creazione di una moltitudine di muri e di barriere all’importazione ed esportazione. Queste barriere riguardano anche il cibo: e per le derrate alimentari gli italiani dipendono dalle importazioni.

Per trent’anni e più hanno pontificato che grazie alla globalizzazione non è necessario produrre, ma solo commerciare. L’UE, in materia di globalizzazione, è stata l’ultimo dei giapponesi: e l’Italia a rimorchio. Se anche il vento cambiasse ora, prima dell’estate 2023 in Italia i raccolti non potranno in nessun modo consentirci di mangiare. E anche rispetto ai pur lontani raccolti 2023 si annuncia qualche non indifferente problemino… Intanto la Cina – è bene non scordarlo – si è accaparrata la metà delle scorte mondiali di cereali.

Disgrazia vuole che l’UE sia un  grande importatore netto di cereali e granaglie: la base del nostro vivere quotidiano. L’Italia, non ne parliamo. Con appena 60 milioni di abitanti, l’Italia è il quinto importatore mondiale di grano. La Russia, con la quale il cosiddetto Occidente sta tagliando tutti i ponti, è il primo esportatore mondiale.

Fin qui lo scenario. I fatti nuovi, e legati al conflitto con l’Ucraina, sono che la Russia non è più intenzionata ad esportare verso l’Italia e l’Europa. Ha fatto un accordo col Pakistan per vendergli il suo grano: e anche il suo gas, che pure farebbe molto comodo qui. Ciaone, Italia! Chissà come ci potremo arrangiare.

Non solo. L’Ucraina è un altro grande esportatore di grano: il quinto nel mondo. Più in generale, è un gigante della produzione agricola e possiede il 25% delle cosiddette terre nere di tutto il mondo. Chi è vecchio, lo ha imparato alle elementari: le terre nere sono quelle rare e preziose perché straordinariamente fertili. Quelle dove, per dire, pianti un solo seme, ci sputi su e crescono tre piante. Ebbene, l’Ucraina provata dalla guerra sospende l’esportazione di molto generi alimentari. Il grano, non è formalmente compreso: ma comunque per esportarlo ci vorrà un permesso governativo. Ciaone Italia, di nuovo.

Mica si può pensare che la Francia, per citare il grande esportatore inserito nell’UE, ci regali il suo grano o ce lo venda a poco. Il Covid ha dimostrato che l’interesse nazionale viene ben prima della presunta fratellanza europea…

Come se non bastasse la disponibilità, c’è anche la questione del prezzo del cibo. L’indice FAO ha toccato nello scorso mese di febbraio il massimo di tutti i tempi. Il dato però rispecchia vicende ferme ad alcune settimane fa, e non ancora il blocco e i problemi alle esportazioni.

Così, come se fossero folgorati sulla via di Damasco, gli ex ultrà della globalizzazione si sono improvvisamente convertiti al sovranismo. Fino all’altro giorno, chi parlava di sovranità alimentare ed energetica era un terrapiattista miope, stupido e anche pericoloso perché non comprendeva i benefici della globalizzazione. Ora si apprende dal Corriere della Sera che invoca la sovranità alimentare perfino Scordamaglia. Oltre a vendere hamburger in Russia, è il presidente di Filiera Italia, la cordata che unisce agricoltura ed agroindustria.

Di fronte al mutato scenario geopolitico, tornerà forse di moda la battaglia del grano? Se anche fosse, la vittoria non è né imminente, né tantomeno certa.

Il grano da raccogliere in estate è stato seminato in autunno, tanto per cominciare. Quindi ci possiamo scordare la possibilità di un pingue raccolto in giugno-luglio: semmai, sarà per il 2023. Semmai: perché la produzione del grano dipende a sua volta da altre produzioni nelle quali l’Italia è a mille miglia dall’essere sovrana. Bisognerebbe prima raddrizzare e modificare un intero sistema economico, eliminando il più possibile il retaggio di 30 o 40 anni di globalizzazione.

Per avere grano e farina ci vuole ad esempio  energia – di cui l’Italia non dispone – anche solo per azionare trattori e mulini. E ci vogliono fertilizzanti, senza i quali l’agricoltura industriale non riesce a produrre neanche l’insalata. Indovinato? Ebbene sì. L’Italia dipende dalle importazioni, e l’orizzonte era nero già mesi fa, prima della guerra. La Russia è un grande esportatore: ma ora, con la guerra, sta smettendo di esportare anche quelli.

GIULIA BURGAZZI

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