Nel 1996, il compianto Samuel Huntington (1927-2008), un rispettato professore di Harvard, pubblicò The Clash of Civilizations and the Remake of World Order. Questo testo era la sua risposta al bestseller del 1992 di Francis Fukuyama, dal titolo La fine della storia e l’ultimo uomo. Entrambi i testi si focalizzavano su un possibile futuro mondo del dopo Guerra Fredda.
Il recente scoppio della guerra in Ucraina ci ha inevitabilmente riportato alla mente il dibattito che si era svolto sulle due diverse di Fukuyama e Huntington.
Per Fukuyama, la fine della Guerra Fredda è stata anche la fine della Storia con la “S” maiuscola, quella nozione di storia guidata da conflitti ideologici. Dal suo punto di vista, sebbene si verificassero ancora eventi problematici, questi non avrebbero comunque ostacolato la diffusione del mondo neo liberista basato sulle regole in termini di libertà, democrazia, economia di mercato e secolarizzazione delle culture, tutto secondo quanto riportato nell’esperienza americana.
Il punto di vista di Huntington era meno ottimista. Vedeva la fine della Guerra Fredda come una transizione verso un mondo in cui le divisioni tra le grandi potenze un tempo basate su ideologie politiche sarebbero state sostituite dalle divisioni più durature della storia fondate su culture e tradizioni religiose. Huntington ha anche definito la civiltà come l’identità culturale più ampia della storia.
Quindi, Huntington prevedeva uno “scontro di civiltà” – frase presa in prestito da Bernard Lewis, storico del Medio Oriente e della civiltà islamica – che oscurava il futuro del nuovo secolo e anche del millennio a venire.
Huntington ha messo in guardia i colleghi americani, in particolare gli ottimisti come Fukuyama: “Nel mondo emergente di conflitti etnici e scontri di civiltà, la sterminata fiducia tutta occidentale nell’universalità della cultura occidentale soffre di tre problemi: è falsa, è immorale, ed è pericolosa”. Ha quindi aggiunto: “La convinzione che i popoli non occidentali debbano adottare valori, istituzioni e cultura occidentali è immorale, proprio per quello che sarebbe necessario attuare per realizzarlo … L’imperialismo è la conseguenza logica necessaria dell’universalismo”.
Gli eventi hanno dimostrato che Huntington è stato di fatto profetico e ha cancellato la rosea prospettiva di Fukuyama.
La “guerra globale al terrorismo” è stata una risposta agli attacchi terroristici degli estremisti islamici dell’11 settembre 2001, insieme all’argomentazione dei neoconservatori secondo cui dobbiamo diffondere la democrazia e i valori americani all’estero. Questo alla lunga si è trasformato in una guerra senza fine che travalicava i confini, causa di dolore e sangue per le civiltà, proprio come aveva previsto Huntington. La stessa guerra globale al terrorismo ha vaporizzato il previsto “dividendo di pace” derivante dalla fine della Guerra Fredda. Infine, i nuovi scontri con la Russia hanno innescato una guerra letale in Ucraina, attraverso la quale si percorre un confine frammentato da est a ovest in Europa, riportando alla ribalta accresciute tensioni di una Guerra Fredda che apparentemente non è mai finita.
Con specifico riguardo al conflitto, il crollo dell’Unione Sovietica ha resuscitato il passato della Russia pre-comunista come centro di civiltà della cristianità ortodossa e Mosca come terza Roma. L’Ucraina indipendente, tuttavia, è un paese “dilaniato”. Metà della popolazione è etnicamente russa e, in quanto cristiana ortodossa, è legata alla Russia; l’altra metà è composta da etnie miste e la sua affinità culturale e storica risiede in Europa con la Russia occidentale.
Non è ironico vedere in questa guerra un vero e proprio conflitto di civiltà. Da un lato ci sono quegli ucraini che cercano il sostegno dell’Occidente (UE e NATO) per difendere la loro identità culturale percepita in termini di vero e proprio illuminismo di stampo occidentale. Dall’altra parte ci sono i russi che resistono ai valori occidentali perché questi sovvertono la loro identità culturale e il loro tenace cristianesimo ortodosso.
Con un occhio agli eventi in Ucraina e al loro svolgersi come ad un microcosmo di uno scisma in atto che coinvolge tutto il mondo, la tesi di Huntington è alquanto limitata perché non ha esaminato gli effetti del decadimento interno delle civiltà. Ad esempio, non ha considerato gli effetti degradanti sulla cultura americana che Allan Bloom, nel 1987, ha esaminato invece in The Closing of the American Mind. Né ha preso in considerazione libri, come Amusing Ourselves to Death: Public Discourse in the Age of Show Business (1984) di Neil Postman o The Culture of Narcissism (1979) di Christopher Lasch, o il libro successivo di Lasch The Revolt of the Elites and the Betrayal of Democracy (pubblicato postumo nel 1997).
Bloom, Postman e Lasch descrivevano cosa succede quando una cultura inizia a smantellare i suoi valori fondamentali e, di conseguenza, perde la sua vitalità spirituale. In una cultura di questo tipo, dove le persone cercano sempre più solo il piacere, i cittadini vivono per il momento, tagliati alla deriva dal passato e indifferenti al proprio futuro. Lasch scriveva quasi in stile burkeano: “Il narcisista non ha alcun interesse per il futuro perché, in parte, ha anche poco interesse per il passato”.
Huntington semplicemente non poteva immaginare che un Occidente (e un’America) sempre più infedele, inetto, radicalmente secolarizzato e libertario potesse costituire un pericolo maggiore di altre culture nell’allargare le divisioni di civiltà nel mondo all’indomani della Guerra Fredda. In altre parole, non ha percepito che l’Occidente contemporaneo, culturalmente in rovina e spiritualmente distrutto, non può fornire né guida morale, né guida alcuna, agli altri qualora necessaria per prevenire lo scontro di civiltà.
Huntington non aveva nemmeno ragione sul fatto che la cultura fondamentale dell’America basata sui valori dell’Illuminismo fosse unica perché ha un fascino universale. Ma aveva ragione sul fatto che l’America, diffondendo la sua cultura (per quanto degradata), quando sostenuta con la forza (difensiva o meno) a popoli non occidentali, avrebbe trasformato il suo eccezionalismo americano in ciò che si definiva come imperialismo americano.
Almeno negli ultimi vent’anni, gli americani avrebbero fatto bene a ricordare le parole di John Quincy Adams:
“(…)Ovunque lo standard di libertà e indipendenza si dispiegheranno, lì ci sarà il cuore dell’America, le sue benedizioni e le sue preghiere. Ma non vada all’estero in cerca di mostri da distruggere. Essa è la sostenitrice della libertà e dell’indipendenza di tutti. Lei è la campionessa e la vendicatrice solo di se stessa.(…)”
La spinta degli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina affinchè questa entrasse nella NATO da un lato stava allargando sconsideratamente il divario interno di un paese ormai “dilaniato”, mentre dall’altro incitava in modo spaventoso la Russia a invadere preventivamente il territorio per rendere nullo quell’invito. Di conseguenza, la tragedia che si sta verificando in Ucraina ha molto a che fare con il revanscismo russo, così come con l’arroganza americana che ha reso il popolo, in particolare i suoi leader, non curanti non solo delle preoccupazioni di Huntington, ma anche degli avvertimenti di George Washington nel suo discorso di addio —un discorso che è molto più importante nel mondo del dopo Guerra Fredda rispetto a quando fu pronunciato nel 1796.
Washington ha avvertito: “L’Europa ha una serie di interessi primari, che non sono legati a noi o se lo sono, lo sono solo in maniera molto remota. Perciò si impegnerà in frequenti controversie, le cui cause sono essenzialmente estranee a noi». Inoltre: “Perché mai dobbiamo intrecciare il nostro destino con quello di qualsiasi parte d’Europa, impigliare la nostra pace e prosperità nelle fatiche dell’ambizione, della rivalità, dell’interesse, dell’umorismo o del capriccio che sono solo o principalmente europei? È parte della nostra politica stare alla larga da alleanze permanenti, con qualsiasi parte del mondo straniero”.
La lezione, quindi, che gli americani possono trarre dalla tragedia dell’Ucraina è che, quando si verificano scontri lontani per ragioni estranee all’America, il coinvolgimento americano può fare più male che bene. Se gli americani desiderano che gli altri prestino loro attenzione, devono essere fedeli nelle parole e nei fatti ai valori fondamentali della loro cultura e quindi, solo in quel caso, possono meritare l’ascolto degli altri gli altri.
di Geoffrey Clarfield e Salim Mansur, traduzione Martina Giuntoli