L’essenziale è invisibile agli occhi, dice la Volpe. Parafrasando il Piccolo Principe, oggi verrebbe da dire: l’inessenziale, che invade i media, serve a distogliere il nostro sguardo dalla possibile verità, su quanto sta accadendo nel mondo. Qualcosa di vorticoso, in ogni ambito: accelerazioni impensabili.

La tempesta Covid e i brogli americani ai danni di Trump, poi l’incredibile rottura con la Russia. La guerra nel Donbass, la crisi energetica europea, il poderoso impulso allo sviluppo dei Brics in fuga dal dollaro. E adesso anche il Risiko che sta sconvolgendo l’Africa sub-sahariana, settore-chiave per le materie prime e per i flussi migratori verso l’Europa.

IL GIALLO PRIGOZHIN

Grande imputato, il post-colonialismo della Francia. E sull’intera vicenda, un fantasma scomodo: quello di Evgenij Prigozhin, pedina fondamentale di Mosca nel continente nero. Strana biografia, quella del capo della Wagner. Oscuri trascorsi all’ombra del potere, prima degli anni ruggenti alla guida dei suoi temutissimi mercenari.

Clamorose le imprese africane condotte per conto del Cremlino, sfrattando gradualmente i francesi. Poi la vittoria a Bakhmut e il tentato golpe inscenato il 24 giugno: ricorrenza massonica, quella, che simboleggia un possibile “nuovo inizio”. Quindi l’enigmatica uscita di scena del 23 agosto: l’aereo esploso in volo, nei cieli russi di Tver.

MAGALDI: NON È MORTO NESSUNO

A bordo del jet, secondo le fonti ufficiali, insieme a Prigozhin volavano il fondatore della Wagner, Dmitrij Utkin, e il numero tre della compagnia, Valerij Chekalov. «Nessuno, sano di mente, può davvero pensare che dei volponi come quelli – scampati in precedenza a ben altre circostanze – possano essersi fatti ammazzare insieme, come tre rincoglioniti, imbarcandosi sullo stesso aereo».

Lo afferma il massone Gioele Magaldi, ben collegato al network internazionale delle superlogge. «Lo confermo: in base a quello che so, quei tre sono vivi e vegeti». Impossibile dimostrarlo, ovviamente. Le autorità russe, poi, hanno dichiarato che a parlar chiaro sarebbe l’esame del Dna. E in ogni caso, soprattutto, suona inequivocabile l’epitaffio tombale di Putin: exit Prigozhin.

IL GOLPE SCENEGGIATO

«Vivo o morto che sia – afferma un analista come Dmitrij Koreshkov, imprenditore moscovita che vive da anni in Italia – quello che conta è che è il sistema russo abbia “vomitato” Prigozhin, rigettandolo come un corpo estraneo». Per un attimo, infatti, anche prima della semi-rivolta di giugno, il leader della Wagner era sembrato voler fare ombra a Putin. Come non detto: capitolo chiuso.

Tra le varie ipotesi dietrologiche, quella più ovvia: un finto golpe, largamente concordato col Cremlino e spentosi già prima di sera, poteva servire a stanare eventuali dirigenti infedeli, quinte colonne della Nato, oltre che a scoraggiare qualche potenziale golpista vero. Non mancano certo i precedenti, in Russia. La sollevazione militare del 1991? Recitata, anche quella: sembrava ispirata da vecchi nostalgici del Pcus, e invece servì a decretare la fine dell’Urss.

UN PRECEDENTE: LEV ROKHLIN

Il caso di Evgenij Prighozin – dice Koreshkov – ricorda da vicino quello del generale Lev Rokhlin, eroe della prima guerra in Cecenia, conclusasi nel ’95. «Grazie al suo genio militare, riuscì a volgere la situazione a favore di Mosca, ottenendo un’enorme popolarità tra i soldati e i vertici delle forze armate».

Di fronte alle crescenti malversazioni di Eltsin, il generale Rokhlin pensò di usare il suo prestigio per attuare un colpo di Stato destinato a deporre il presidente, nell’estate del 1998. «Di questa storia parla diffusamente Mikhail Poltoranin, viceministro nel primo governo Eltsin: fu avvicinato dal generale, che intendeva coinvolgerlo nel “regime change”».

PUTIN E IL NETWORK EBRAICO

Peccato però che, il 3 luglio di quell’anno, Lev Rokhlin venne ritrovato senza vita nella sua dacia, con la testa perforata da un proiettile. Le indagini? «Una farsa: dell’omicidio venne incolpata la moglie». In ogni caso – sottolinea Koreshkov – il tentato colpo militare patriottico di Lev Rokhlin è stato il più grande pericolo che abbia corso il governo filo-americano di Eltsin.

Poi, attenzione alle coincidenze: appena dieci giorni dopo, Vladimir Putin – all’epoca impegnato nel governo cittadino di San Pietroburgo – venne nominato capo dell’Fsb. «Dopo la morte di Rotkhin, la sua carriera subì un’impennata inimmaginabile: divenne primo ministro l’anno seguente e, poco dopo, fu eletto presidente».

KORESHKOV: DIPLOMAZIA INVISIBILE

In parallelo, sottolinea sempre Koreshkov, spicca l’altrettanto fulminea ascesa di un uomo vicinissimo a Putin: Berel Lazar, nato a Milano e cresciuto negli Usa, eletto ad appena 36 anni alla guida dell’intera comunità ebraica russa. Il rabbino capo esprime l’ebraismo più ortodosso, incarnato dall’influente associazione Chabad (presieduta da Alexander Boroda). E l’autorità di Lazar – fatto notevolissimo – è riconosciuta anche dai correligionari ucraini.

Non solo: al network internazionale rappresentato da Chabad sarebbero collegati personaggi di prima grandezza come il “re dei diamanti” Lev Leviev, lo stesso Roman Abramovič e Pëtr Aven, anch’esso trasferitosi a Londra. Tutti uomini in strettissimo contatto con Putin. Intrecci insospettabili, quelli dell’élite ebraica: «Se non fosse stato per loro – ammette Koreshkov – oggi probabilmente saremmo costretti a parlare di conflitto nucleare e di Terza Guerra Mondiale».

WAGNER: QUEI TRE FINTI MORTI

Invece i nostri media, con totale sprezzo del ridicolo, continuano a rappresentare Putin come un brutale autocrate isolato. Quanto a Prigozhin, di lui hanno detto di tutto: avido, spietato, spregiudicato. Il “cuoco di Putin”, il “macellaio della Wagner”. E per un giorno – il 24 giugno – l’hanno dipinto come una specie di eroe democratico, trascurando (ancora e sempre) di citare la sua ascendenza ebraica e dunque i legami con determinati mondi, russi e non solo.

Ora, sempre per il mainstream, Prigozhin sarebbe morto e sepolto, insieme a Utkin e Chekalov. Versione ufficiale, che Magaldi smentisce: «Lo ripeto: quei tre finti morti non sono affatto sottoterra. E non si pensi che siano stati mandati in pensione, a godersi i miliardi guadagnati in tutti questi anni».

LA CHIAVE È IN AFRICA

Dettagli, Magaldi non ne fornisce. Però sottolinea le strane incongruenze del disastro aereo: «Corpi carbonizzati e irriconoscibili, ma documenti ritrovati pressoché intatti: sembra quasi la fotocopia della fenomenale presa in giro di cui furono capaci gli Usa, l’11 Settembre, facendo ritrovare i passaporti dei presunti terroristi tra le macerie fumanti di Ground Zero».

Anziché parlare sempre del nulla, aggiunge Magaldi, i nostri media dovrebbero interrogarsi sugli attuali sviluppi della situazione in Africa. «Soprattutto, dovrebbero indagare sulla linea rossa che lega il tentato golpe in Russia (e poi la finta morte dei leader della Wagner) proprio al tema dell’Africa e ai recenti colpi di Stato appena verificatisi nel continente africano».

LANDI: LA STORIA SI RIPETE

Anche laggiù, infatti, niente è come sembra. Gli africani che corrono in massa tra le braccia dei russi, senza che lo Zio Sam faccia nulla per impedirlo? Troppo facile: qualcosa non torna, neppure lì. Ne è convinto un brillante analista come Gianmarco Landi. A pensarla come lui è anche lo storico Nicola Bizzi, acuto osservatore dell’attualità.

A Landi, l’attuale terremoto che sta facendo tremare l’Africa ricorda il film del 1956: quando cioè il Cremlino e la Casa Bianca – sotterraneamente alleati – fermarono l’invasione dell’Egitto. Era stata l’ultima zampata del colonialismo anglo-francese, concepita con l’appoggio di Israele per rovesciare il governo sovrano di Abdel Gamal Nasser.

USA E URSS DIFESERO NASSER

Il “raìs” egiziano era tra i leader dei movimento mondiale dei non-allineati, insieme all’indiano Nerhu e allo jugoslavo Tito. Obiettivo finale di inglesi e francesi: rimettere le mani sul Canale di Suez. Quando però la task force di Parigi e Londra sbarcò a Port Said per marciare sul palazzo di Nasser, il maresciallo Bulganin (primo ministro di Mosca, sotto il neo-eletto Khrushev) emise uno storico ultimatum: l’Urss avrebbe sganciato la bomba atomica sugli invasori, se non si fossero immediatamente ritirati.

Altra notizia, decisamente anomala nel clima della guerra fredda: anziché difenderli, Eisenhower “consigliò” a francesi e inglesi di tornare a casa, decretando così indirettamente il trionfo popolare del vittorioso, scomodo leader egiziano. Nasser era il grande vessillo del riscatto panarabo post-coloniale. Traguardo da raggiungere grazie a un approccio laico, lontanissimo da qualsiasi fondamentalismo.

BIZZI: INTESE SOTTERRANEE

Una dimensione politica, quella del regime egiziano di allora, nella quale poi si sono variamente situati vari altri leader africani e arabi: da Gheddafi a Saddam, passando per il siriano Hafez Assad, il palestinese Arafat e lo stesso Thomas Sankara, liberatore dell’ex Alto Volta, anch’egli assassinato da killer armati dall’Occidente.

Ora però qualcosa è cambiato, par di capire. Mosca e Washington – in apparenza così inconciliabili – cospirano sottobanco (come già nel ’56) per ridimensionare il peso francese nel continente africano? A formulare il sospetto è Nicola Bizzi, colpito dal carattere molto teatrale del brusco, plateale congedo riservato a Victoria Nuland da parte degli insorti nigerini, nei giorni scorsi.

LA RECITA DEL NIGER

Come se le autorità di Niamey – sbattendo la porta in faccia alla Nuland, cioè al Dipartimento di Stato – avessero voluto marcare una distanza più apparente che reale, rispetto alla potenza atlantica. Tanta ostentazione potrebbe servire a tenere ben nascosti certi legami con Washington? Nel qual caso, le vittime dell’ipotetica recita sarebbero proprio i francesi.

Certo, i nuovi dirigenti del Niger non apprezzano l’amministrazione Biden e incoraggiano le piazze che agitano le gigantografie di Putin. Ma siamo sicuri – si domanda Bizzi – che invece non agiscano d’intesa con il Pentagono? Sono stati proprio gli americani a formare gli ufficiali oggi al potere nell’Africa subsahariana, in paesi dove intanto i miliziani russi della Wagner hanno sottratto terreno ai francesi.

GLI AFRICANI SFRATTANO LA FRANCIA

Di certo, lo smottamento globale in corso non ha precedenti: mentre anche l’Etiopia e l’Egitto (territori prossimi al Canale di Suez) entreranno nei Brics, l’Eritrea ha chiesto a Putin di assumere la leadership mondiale degli oppositori, ormai maggioranza, che contestano il vecchio potere fondato sul dollaro.

Dopo la rivolta militare in Burkina Faso, patria di Sankara (e prima ancora, il riposizionamento del Mali) i nuovi alfieri del Niger appena insorto, sorretti da un vasto consenso, minacciano di negare alla Francia l’uranio, fondamentale per le centrali nucleari dell’ex potenza coloniale. Ultima puntata, il Gabon: anche qui, nel giro di poche settimane, la situazione si è ribaltata a svantaggio dei francesi.

L’AMICO AMERICANO

Lo stesso Bizzi fa notare un dettaglio: da fonti di stampa si apprende che alcuni dei militari africani ora al governo dei loro paesi, già addestrati ed equipaggiati dagli Usa, stanno acquistando beni e ville negli Stati Uniti, teoricamente alleati dell’odiata Francia. Non ci sarebbe da stupirsi – dice – se qualcuno, negli Usa, guardasse segretamente con favore allo sviluppo degli eventi africani.

La tesi può apparire stravagante, ma forse non lo è. «I piani di Washington per l’Europa sono evidenti: così come la Germania (minata dalla crisi energetica con Mosca) anche la Francia è chiaramente nel mirino degli Usa, o almeno di qualche settore del potere statunitense». Ulteriore indizio, dall’Italia: l’improvvisa tempesta politica anti-francese, scatenata da Giuliano Amato.

CI SI METTE PURE USTICA

Perché riparlare di Ustica proprio adesso – dopo 43 anni – evocando il ruolo di Parigi in quel tragico episodio? Qualcuno intravede anche la possibilità che la polemica finisca per infastidire lo stesso Mattarella, che nel 2021 firmò con Macron il Trattato del Quirinale. Qualcuno vorrebbe forse portare allo scoperto certi giochi, finora rimasti in chiaroscuro?

Sullo sfondo, mentre i maggiori produttori di energia e materie prime hanno già cominciato a commerciare tra loro bypassando il dollaro, c’è chi ipotizza che il grande ridisegno del pianeta ormai in corso, guidato da Russia e Cina, si avvalga anche della tacita collaborazione di precisi settori dell’establishment Usa, magari contrari allo strapotere della vecchia élite finanziaria.

GRANDE TEATRO: ALTRI COLPI DI SCENA

L’Africa sarebbe dunque un banco di prova: uno spettacolare cantiere geopolitico, per chi davvero – a Est come a Ovest – volesse cambiare le regole del gioco? «Siamo dentro un grande teatro – avverte Magaldi – con grandi colpi di scena in arrivo: stanno succedendo cose di ogni genere. E ne succederanno di sempre più fantasmagoriche e inopinate. E in questo grande teatro, i morti e i vivi si confondono».

Già, appunto: Prigozhin. «Non è neppure così importante scoprire per forza dove si trovi, oggi. L’essenziale è invece sapere quale sarà, nella nuova sceneggiatura in arrivo, il vero ruolo di questo “fantasma”. Non a caso, per fortuna – dice sempre Magaldi – si sta anche preparando una sceneggiatura di pace, nella quale alcuni “sgherri” dovranno essere sacrificati: perché si possa arrivare alla pace, infatti, occorre che alcuni personaggi spariscano».

GIORGIO CATTANEO

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