Dove porta la favola bella (anzi, bruttina) del golpe-bonsai recitato dal diligente Prigozhin sotto il controllo dell’intelligence militare russa e con la supervisione del Cremlino? I media occidentali starnazzano, come sempre: annunciano l’inevitabile fine di Putin, dopo essere arrivati a trasformare in eroe, per qualche ora, persino il capo dei mercenari Wagner.

Gli analisti più accorti, invece, intravedono un disegno: che porta alla potenziale bonifica del potere russo. Putin incassa cioè un grande assist per sfrattare quel che resta delle quinte colonne occidentali, tra i palazzi di Mosca. E ancora una volta, il presidente (rafforzato dall’aver “sventato” quella che sembrava una vera rivolta) oggi appare in grado di dare le carte, dettando le prossime tappe del dossier Ucraina.

MESSAGGI MASSONICI

Ai più attenti non è sfuggita la vistosa simbologia dell’evento, contenuta nella data: 24 giugno. L’occupazione incruenta di Rostov, l’appello all’insurrezione militare, la surreale “marcia su Mosca” subito interrotta. Tutto caduto nel vuoto in poche ore, come da copione, proprio nel giorno solstiziale – San Giovanni Battista – in cui i massoni festeggiano il nuovo inizio, la vittoria trionfale del sole.

Messaggi in codice: che Putin potrebbe aver indirizzato ai grembiulini occidentali, appostati dietro le linee della Nato. Il tono è quello del vincitore granitico, che sembra dire: vi ho appena dimostrato di essere inattaccabile, vi ho addirittura presi in giro. Vogliamo quindi mettere fine allo stillicidio nel Donbass, da voi accuratamente provocato?

IL RUOLO DELLA CIA

Varie fonti, come sottolinea Gianmarco Landi, evocano un ruolo diretto della Cia e dei britannici nell’avventura teatrale di Prigozhin. Lo afferma l’influente deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene. La pensa così anche Scott Ritter, già ispettore dell’Onu in Iraq al tempo delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam.

Secondo un celebre hacker, Kim Dotcom, l’ex “cuoco di Putin” avrebbe intascato 6 miliardi di dollari, dalla Cia, per creare caos in Russia e minare il potere del Cremlino. Salvo in realtà avvertire immediatamente Putin, che a quel punto gli avrebbe detto: molto bene, allora giochiamo. Facciamogli credere che sia tutto vero.

DOPPIO GIOCO: IL FINTO GOLPE

Una beffa bruciante, per la leadership occidentale? Certo è suonata come una farsa, dall’inizio alla fine, la rumorosa dissidenza di Prigozhin: utile magari per indebolire un personaggio come il ministro della difesa Sergej Shoigu, residuato bellico dell’era Eltsin. In altre parole: nomenklatura che risale all’epoca in cui gli Usa colonizzarono la neonata Federazione Russa, prima dell’avvento di Putin.

A sottolinearlo è un analista come Dmitry Koreshkov: il vero campo di battaglia – dice – non è l’Ucraina, ma proprio la Russia. Eternamente contesa da due fazioni: l’ala patriottica, facente capo al Gru (servizio segreto militare di cui il padre del filosofo Alexandr Dugin era un alto dirigente) e la frangia “collaborazionista”, sensibile alle sirene occidentali.

LA VERA GUERRA: IN RUSSIA

Putin? Comicamente rappresentato come monolitico Zar, in realtà starebbe nel mezzo, a fare da arbitro tra le due cordate. Sempre più insofferente, però, nei confronti dell’alta burocrazia telecomandata dall’Occidente. Una presenza ingombrante: svariati ministri, lo stesso premier Mikhail Mišustin. Ed Elvira Nabiullina, governatrice della banca centrale russa.

Tra i meno affidabili, Koreshkov indica lo stesso ex presidente Medvedev, abilissimo dissimulatore: oggi infatti – stando alle sue frequenti dichiarazioni incendiarie – sembrerebbe il più agguerrito leader dell’oltranzismo nazionalista russo. Solo teatro? E quanti sarebbero, anche tra gli “oligarchi”, gli eterni commedianti in affari con lo straniero?

SMASCHERATI I TRADITORI

Alcuni, dice sempre Koreshkov, sono usciti allo scoperto proprio il 24 giugno: scappando col primo aereo, avendo preso per buona la rivolta della Wagner (e la debolezza del Cremlino). Anche a questo, evidentemente, “serviva” la messinscena di Prigozhin: a stanare i potenziali traditori, quelli veri.

Poi ci sono gli altri tre assi, in questo ipotetico poker. Il primo: la Wagner (o quel che ne resta) trasferita in Bielorussia, a soli cento chilometri da Kiev. «In teoria, questo potrebbe anche cambiare la configurazione del fronte: non soltanto l’Ucraina, ma anche la Polonia e i paesi baltici d’ora in poi potrebbero sentirsi sotto scacco. In più, la Russia scarica su Lukashenko ogni responsabilità per le eventuali azioni della Wagner».

GLI 007 AL LAVORO

Altro asso: «Grazie a quelle ore convulse, è stata probabilmente scoperta una buona parte della rete occidentale che, all’interno della Russia, si era attivata in tutta fretta seguendo le richieste dei suoi padroni». Questo, sempre secondo Koreshkov, avrebbe dato la possibilità ai servizi russi di individuare gli agenti coperti: «L’Fsb era in allerta da settimane, aspettava solo un loro passo falso».

Infine, la concitazione del sabato mattina (l’illusione di un improvviso cedimento russo) avrebbe prodotto anche un risultato sul campo, tra le linee del fronte: «Si sono scoperte le posizioni dell’esercito ucraino che, volendo sfruttare il caos in Russia, aveva iniziato a far uscire sul terreno le truppe di riserva. Le hanno ritirate subito, ma ormai era tardi: le loro posizioni sono state individuate».

L’UOMO-CHIAVE: DUMIN

A siglare l’atto finale del colpo di teatro, spingendo Prigozhin sulla via di Minsk, sarebbe stato Alexey Dumin, fedelissimo di Putin. Un pezzo da novanta, dirottato a Tula (come governatore della regione) dopo esser stato viceministro della difesa e capo della sicurezza del Cremlino. Popolarissimo fra le truppe, è accreditato come possibile successore di Shoigu: magari non subito, per non rendere troppo palese il vero ruolo di Prigozhin.

A proposito: in Occidente, nessuno aveva trovato strano che il capo della Wagner potesse insultare per mesi, impunemente, il ministero della difesa. Impensabile, una simile polemica, dalle nostre parti: le famose democrazie occidentali sbatterebbero immediatamente in carcere il primo ufficiale che osasse contestare pubblicamente i comandi: per giunta in faccia al nemico, con una guerra in corso. Il feroce dittatore Putin, invece, a Prigozhin ha concesso qualsiasi libertà.

LA WAGNER, CIOÈ IL GRU

Gli ha persino permesso di inscenare l’invasione del quartier generale di Rostov. Anche qui: senza però interrompere il lavoro degli ufficiali russi. Tutti a interrogarsi sulle possibili intenzioni dell’avventuriero ribelle e megalomane, forse “impazzito” o magari a libro paga della Cia, dimenticando un dettaglio essenziale: la Wagner è una costola del Gru, una sua creatura.

Prigozhin non avrebbe mai potuto muovere nemmeno un passo, senza il consenso dell’intelligence militare, cioè del Cremlino. Ben sapendo che sarebbe stato un gioco da ragazzi, eliminarlo. Ma appunto: perché mai privarsi di una pedina consenziente e così preziosa, se è vero che ha permesso di mettere in scacco il potente apparato occidentale che usa l’Ucraina come grimaldello per tentare di scassinare definitivamente la sovranità russa?

QUINTE COLONNE A MOSCA

È probabile che sia proprio questa l’autentica partita in corso a Mosca: assumere il pieno controllo sul paese, smantellando la rete degli amici dell’Occidente. Un’estesa ragnatela, che finora ha avuto il potere di impedire alla Federazione Russa di impiegare il suo reale potenziale bellico. Naturalmente l’ha fatto con il consenso di Putin, sempre pronto a non rompere del tutto i rapporti con Europa e America.

Comodo, un finto golpe come quello di Prigozhin? Pare proprio di sì: rafforzando il Cremlino, dimostra anche l’impraticabilità di un colpo di Stato vero. E questo, forse, potrebbe spingere l’élite occidentale a più miti consigli. Magari trovando un modo per mettere fine alla recita bellicosa dell’altro grande attore di cartapesta, il burattino Zelensky.

FINE DELLA GUERRA?

Nuovo inizio? Non sembra affatto casuale, la scelta altamente simbolica della ricorrenza – massonica – del 24 giugno. Da parte di Putin una specie di offerta, all’Occidente: visto che vi ho appena dimostrato che posso persino permettermi il lusso di prendervi per il naso, giocando al golpe e al contro-golpe, forse è il caso di voltare pagina.

Saranno i fatti, come sempre, ad avvalorare o smentire le varie ipotesi sul tappeto. Di certo, oggi esce sconfitto – in modo beffardo – chi sperava di ridimensionare la Russia come primattore geopolitico, lavorandola ai fianchi e soprattutto minandola dall’interno. Mission impossibile, a quanto pare. Anzi: l’operazione-Wagner (magari pure profumatamente pagata dalla Cia) potrebbe aver davvero contribuito a ripulire il cortile di casa, consolidando Putin.

UCRAINA, LA PRUDENZA RUSSA

In molti, nell’ultimo anno, si sono domandati per quale motivo i russi abbiano rinunciato a chiudere subito la partita ucraina. Sfruttando la sua schiacciante superiorità aerea e missilistica, a Mosca sarebbe bastato bombardare a tappeto tutti gli snodi logistici, i depositi, i crocevia strategici, le infrastrutture-chiave. Le forze di Kiev sarebbero state letteralmente paralizzate. E con enorme risparmio di vite umane, da entrambe le parti.

Perché non è stato fatto? Perché lo sporco business della guerra, risponde qualcuno, ingrassa entrambi i contendenti. Ma forse non basta, come spiegazione, se è vero che il Donbass è soltanto un dettaglio della grande partita mondiale, tuttora in corso. Una sfida drammatica, che vede vacillare l’antica egemonia atlantista sorretta dallo strapotere del dollaro, ormai sul viale del tramonto.

PUTIN E IL NUOVO MONDO

Ecco perché risulta fondamentale, la tenuta della Russia, nella prospettiva di un mondo finalmente multipolare. Per questo, l’attuale potere atlantico sa che Mosca resta il suo principale problema. È la Russia – non l’Ucraina – il campo di battaglia. E proprio la fenomenologia del golpe (la disponibilità a tradire) è la vera cartina di tornasole, per smascherare i finti alleati.

Il tutto ha l’aria di un’operazione lungamente pianificata. Come tutte le altre, da quando Mosca – con la decisione di intervenire in Siria nel 2015, contro l’Isis armato dall’Occidente – ha scelto di varcare il Rubicone. E magari un giorno si scoprirà che persino l’imbarazzante Prigozhin potrebbe aver avuto un ruolo importante, nel contribuire a cambiare il corso della nostra storia.

GIORGIO CATTANEO

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