La cosa interessante, oltre alla nave di Draghi e del suo green pass che affonda, è cercare di capire perché i topi scappano proprio ora e dove vanno. Oppure, a scelta, dove li si vuol mandare.

Tutti gli esponenti leghisti nella commissione Affari Sociali della Camera hanno firmato un emendamento per far sparire il green pass dopo il 31 marzo. La notizia ne segue un altra, meno clamorosa: Governo ripetutamente battuto in commissione al Senato sempre a proposito del green pass, con l’approvazione di emendamenti che mirano ad eliminare alcuni degli aspetti più feroci contenuti nel decreto legge della vigilia di Natale. Del resto, Lega e parte del M5S hanno cominciato già da giorni a smarcarsi cautamente dal draghismo emergenziale. Un atteggiamento, il loro, che indica scricchiolii nella tenuta della maggioranza.

Però l’emendamento leghista per abolire completamente il green pass rappresenta un cambiamento di livello e di tono nello smarcamento. E non solo: la firma unanime dei deputati leghisti presenti in commissione è un altro segno da non sottovalutare. Fino all’altro giorno, Salvini faceva un pochino la fronda al green pass (oh, solo un pochino di fronda!) ma la linea vincente era quella dei governatori regionali leghisti, draghianissimi e zelantissimi esecutori di green pass ed affini. E allora, che gli è preso adesso alla Lega?

La necessità pre elettorale di rifarsi una verginità è solo una parte della risposta. Del resto, la medesima necessità ce l’avrebbe anche il M5S, il cui smarcamento è ben più timido e parziale. Ma per quanto possa dire e fare d’ora in poi, il M5S è ridotto ad una palude di fango e coltelli. Alle prossime elezioni, difficilmente prenderà anche solo i voti delle mitiche Bimbe di Conte. Ha raccolto la protesta e l’ha usata per gestire il potere. Che riesca a farlo di nuovo, non lo crede proprio nessuno.

E dunque serve qualcun altro per intercettare e neutralizzare gli elettori che vorrebbero cambiare radicalmente l’attuale andazzo. Lo scopo è ovvio: far sì che la protesta non disturbi il manovratore.

Una forza politica veramente e da sempre contraria al draghismo emergenziale, al green pass e alla politica sanitaria sul Covid che subiamo da due anni sarebbe in grado, ora, di raccogliere milioni e milioni di voti. Proprio per questo nelle stanze dei bottoni, parafrasando Manzoni, dicono che questo forza politica non s’ha da fare.

E’ il contesto in cui si può situare la tardiva svolta anti Covid della Lega. Un briciolino di credibilità in più del M5S apparentemente ce l’ha: è stata all’opposizione durante il secondo governo di Conte e Salvini ha fatto un pochino di fronda, a volte, durante il governo Draghi. E dunque, quest’autunno o nel 2023 – quando insomma si andrà a votare – c’è la possibilità teorica che la Lega sia in grado di intercettare la protesta. Perché riesca a sfruttare questa possibilità, bisogna spingere, già ora, sul pedale. Bisogna che la Lega prenda una netta posizione contro il green pass, tanto per cominciare.

No. Non ci dimenticheremo che sindaci e governatori leghisti sono stati fra i più assatanati esecutori delle politiche draghiane sul green pass. Non ci dimenticheremo le loro fusa spudorate ai soldi del PNRR che noi tutti restituiremo con lacrime e sangue, oltre che con quattrini sonanti. La Lega come collettore del voto di protesta è una maldestra riedizione del M5S. E’ una trappola che bisogna evitare.

GIULIA BURGAZZI

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