Con il colpo di Stato in Niger, rischiano seriamente il naufragio i piani di Ue e Italia (se n’era occupato personalmente Draghi da primo ministro) per sostituire il gas russo con il gas africano attraverso il Nigal.
IL PROGETTO NIGAL
Dovrebbe infatti passare sul territorio del Niger il mega gasdotto in grado di portare ogni anno 30 miliardi di metri cubi di gas dalla Nigeria fino all’Italia. Il Niger però – se il nuovo regime resta in sella – non è più un Paese filo occidentale. È verosimile che accenda il semaforo rosso sul percorso dei tubi.
Il gasdotto che ora sembra destinato a sfumare è il progetto trans sahariano o Nigal. L’acronimo riprende i Paesi protagonisti degli accordi: Nigeria, Niger, Algeria. Attraversato il Sahara fino a giungere al centro dell’Algeria, il gas proveniente dalla Nigeria avrebbe dovuto prendere la via della Spagna e dell’Italia attraverso due gasdotti già esistenti. Una parte – si pensava – sarebbe stata portata sulla costa algerina e poi liquefatta per essere trasportata via nave ai rigassificatori europei del Mediterraneo.
Una strada lunga migliaia e migliaia di chilometri. Costo previsto, quasi 13 miliardi di euro. Qui sotto, la rotta – evidenziata in rosso – che avrebbe portato il gas della Nigeria in Italia e in Europa e i suoi rapporti con la rete dei gasdotti trans mediterranei.
LA ROTTA DEL NIGAL
La cartina comprende anche un gasdotto ora fermo e un tratto che, come il Nigal, è solo il progetto. Quello fermo è in giallo e va dall’Algeria alla Spagna via Marocco. È invece allo stadio di progetto il tracciato color arancio, dall’Algeria alla Sardegna e alla terraferma italiana.
Prima della guerra in Ucraina contro la Russia, l’idea – vecchia di decenni – di un gasdotto trans sahariano dalla Nigeria al Mediterraneo prendeva polvere nei cassetti. Nella primavera 2022 Draghi, allora primo ministro in Italia, si è affannato a soffiarla via, nell’ottica di tagliare tutti i ponti fra Occidente e Russia, compresi quelli commerciali.
Quando Draghi è andato in Algeria in cerca di gas che l’Algeria non era in grado di fornire, pare si sia parlato anche del gasdotto Nigal. I dettagli di conversazioni e accordi sono segreti, ma l’Italia di Draghi avrebbe garantito all’Algeria il sostegno tecnologico e politico al progetto.
IL RUOLO DI DRAGHI
Nulla è trapelato ufficialmente, ma vari indizi lasciano intuire un sostegno davvero potente da parte di Draghi ed Unione Europea. Infatti nel giro di pochi mesi il pluridecennale stallo del gasdotto Nigal si è sbloccato.
Nel giugno 2022 – due mesi dopo il viaggio di Draghi in Algeria – Nigeria, Niger ed Algeria hanno organizzato una task force incaricata di marciare verso la realizzazione.
Speravano addirittura di mettere in funzione l’infrastruttura nel giro di due o tre anni: l’Europa spingeva per fare presto, nell’aria c’era odore di corposi finanziamenti.
IL FUTURO DEL NIGAL
Erano già al lavoro almeno alcuni cantieri. La Nigeria era convinta di riuscire a finire il suo tratto entro la fine di questo anno 2023. Era entrato in scena anche il Marocco, intenzionato ad offrire al gas della Nigeria una rotta fino al Mediterraneo alternativa a quella attraverso l’Algeria.
E ora? Non risulta che il nuovo regime del Niger si sia pronunciato sul gasdotto. Tuttavia questo nuovo regime non è più filo occidentale. Ammesso che rimanga al potere, difficilmente si adopererà a favore di un progetto che viene incontro ai desideri dell’Unione Europea. Si prospetta un brusco risveglio per i sogni di Draghi e dell’Ue sul gas della Nigeria.
GIULIA BURGAZZI