Grottesco: deforme e innaturale. Paradossale, inspiegabile. Tale da suscitare reazioni contrastanti, dal riso all’indignazione. In letteratura – sottolineano i dizionari – quello è uno degli aspetti del comico: fondato su una voluta sproporzione degli elementi costitutivi di un momento drammatico. Grottesco, sì: come il retroscena mitologico della più balorda delle storie recenti, quella della linea Tav fra Torino e Lione.

Ultima notizia: la fibrillazione del governo Meloni per il quasi-disimpegno dei francesi. Quell’infrastruttura costa troppo, ogni decisione andrebbe rinviata. Lo afferma il Coi, “Conseil d’orientation des infrastructures”. Morale: l’opera potrebbe vedere la luce solo nel lontano 2043. Una dilatazione virtualmente cosmica, di questi tempi. Al punto da costringere il ministro dei trasporti, Clément Beaune, a precisare: il dossier del Coi contiene solo un parere tecnico, finito sul tavolo del governo.

TORINO-LIONE, LA FRANCIA FRENA?

Per il ministro, da Parigi non arriverà nessun contrordine: tutto dovrebbe procedere secondo i piani. Ma gli italiani non si fidano: sanno che la decisione francese sull’eventuale sostegno finanziario alla super-ferrovia arriverà solo il 22 giugno. In teoria, il rischio che il progetto Tav possa bloccarsi esiste: lo ammette Mario Virano, direttore generale di Telt (Tunnel Euroalpin Lyon Turin), il general contractor creato per snellire le procedure.

A proposito: notoriamente, le grandi opere – ricorda lo scrittore noir Massimo Carlotto – rappresentano la più grande tentazione, per chi volesse “ripulire” capitali dall’origine opaca. L’ombra della ‘ndrangheta ha finora lambito solo in parte il mini-cantiere valsusino, riguardo all’aspetto (secondario) del movimento terra. Materia giudiziaria, in ogni caso. Mentre il grottesco, qui, investe direttamente la sfera politica: completamente azzerata dal “pilota automatico”, il grande potere-ombra europeo.

MAXI-FERROVIA INUTILE

Il lato abnorme della faccenda? Questo: è severamente vietato sostenere che il Re sia nudo, ovvero che l’opera – da decine di miliardi – finisca per rivelarsi completamente inutile, o comunque non certo indispensabile. Doppione dell’attuale linea ferroviaria italo-francese già esistente, sempre in valle di Susa: la Torino-Modane, che connette i due paesi tramite lo storico traforo del Fréjus. Binari su cui sfreccia regolarmente il Tgv francese.

Perché allora creare una seconda linea, ancora più veloce? Per far correre i passeggeri, risposero i suoi ideatori, negli anni ’80. Poi arrivarono i voli low-cost: e il traffico ferroviario letteralmente crollò. Allora “truccarono” il progetto da infrastruttura per le merci, come se le merci avessero bisogno di velocità. Scoprendo comunque che si tratterebbe dell’ennesimo binario morto: anche il traffico commerciale Italia-Francia si è eclissato. La linea esistente è semideserta, sfruttata solo al 15% delle sue potenzialità.

KIEV-LISBONA, UNA BUFALA

Mercato: tra Piemonte e Rhône-Alpes ormai circolano solo le briciole dell’economia che fu. E non c’è da aspettarsi nessuna fantomatica ripresa: lo ripetono tutti gli indicatori. Se poi qualcuno sperava nella Via della Seta, eccolo servito: ci ha pensato quel tizio, Joe Biden, a cancellare qualsiasi proiezione orientale per l’Europa. Mettendo in ginocchio innnanzitutto la Germania, dipendente dal gas russo. E infatti oggi sono in piena fibrillazione, i tedeschi, di fronte all’incubo di una disoccupazione di portata epocale.

Eccolo, il carattere tragicomico di questa storia nera: può affondare tutto – l’Italia, l’Europa stessa – ma non il supremo totem intoccabile, il tabù della cosiddetta alta velocità. Una linea, quella valsusina, concepita più di trent’anni fa come snodo alpino dell’allora Corridoio 5, Lisbona-Kiev. Sì, proprio Kiev in Ucraina: è vero o no, che sembra di vivere in un sogno partorito da oscuri umoristi piuttosto demenziali?

BUGIE AD ALTA VELOCITÀ

Il Corridoio 5 è esistito sempre e solo sulla carta, tra gli scarabocchi dei burocrati di Bruxelles. Il Portogallo se ne ritirò subito, seguito dalla Spagna: niente connessione-lampo neppure tra le due capitali, Madrid e Lisbona. Verso est, nebbia fitta: Slovenia, Croazia e Ungheria non vollero saperne, di treni veloci. Quanto all’Ucraina, forse è il caso di stendere un velo pietoso: per decenza storica e umanitaria.

Sipario: anche sulla casta italiana dei maggiordomi obbedienti. Pronti a ringhiare, non appena qualcuno – la Francia – accenna all’idea di archiviare questa specie di follia anacronistica, dispendiosa, superflua. E ferocemente avversata da una popolazione che la teme e la contrasta da decenni, senza che un solo ministro si sia mai degnato di rispondere alla domanda: a cosa servirebbe, davvero, la Torino-Lione?

LA BANALITÀ DEL MALE

Hannah Arendt ragionò in modo esemplare sulla “banalità del male”. In questo caso: un grande affare, essenzialmente. Come per le grandi banche: “too big to fail”. Un carrozzone colossale, ormai innescato a colpi di finanziamenti a rate e solenni promesse. Troppo imbarazzante, tornare indietro. Impossibile, ammettere di aver sbagliato tutto. E come smontarle, del resto, le filiere di business che guardano alla linea Tav come al boccone più succulento di sempre?

In questa faccenda c’è anche un miserabile indotto, politico: la repressione del dissenso. Magari facilitata anche dalla classica strategia della tensione: come nel caso delle misteriose bombe che esplosero proprio in valle di Susa già negli anni ’90, non riconducibili in alcun modo ai militanti locali. Era allettante, l’idea di criminalizzarli. Lo ripeté lo scrittore Erri De Luca, molti anni dopo processato – e assolto – per aver sostenuto il diritto di battersi contro la maxi-opera.

GUERRA AL DISSENSO

Anni ruggenti, convulsi e drammatici. Dal 2012 in poi, furono svariate le prese di posizione a favore della resistenza valsusina. Cantanti come Laura Pausini e Franco Battiato esposero la bandiera NoTav ai loro concerti. Lo stesso Vinicio Capossela si esibì gratuitamente al festival Alta Felicità, a due passi dal cantiere, promosso dagli oppositori della Torino-Lione.

Rigettavano, gli artisti, l’idea stessa che la voce di un’intera comunità potesse venir soffocata brutalmente, confiscando diritti e libertà. Come per fare le prove generali di un rigore assoluto, dietro l’angolo: l’incubo post-democratico che avremmo sperimentato di lì a poco, con il massacro sociale dell’euro-austerity. Fino ad arrivare poi al delirio della “dittatura sanitaria” e alla pazzia suicida della guerra contro la Russia.

NEL CUORE DELLA STORIA

È proprio questo aspetto – la storia – a sintonizzare tristemente la vicenda Tav con i grandi smottamenti geopolitici, di ieri e di oggi. Non è un posto qualsiasi, la valle d Susa: non è solo il maggior comprensorio sciistico piemontese, già sede delle Olimpiadi Invernali 2006. È anche (e soprattutto) una sorta di culla degli eventi, da sempre. A cominciare dal fantasma di Annibale, coi suoi elefanti, che aleggia ancora sui versanti del Moncenisio.

Da Susa transitarono le legioni di Cesare, sulla Via delle Gallie. A Susa, Augusto eresse il suo arco trionfale, accanto all’arena romana. Ancora: sempre nel capoluogo valsusino si scontrarono gli eserciti di Costantino e Massenzio. Popoli, invasioni, truppe, lingue, culture. In un certo senso: l’infanzia dell’Europa. Da Barbarossa a Napoleone, sembra che nessuno abbia trascurato di lasciare un segno in quella vallata. Proprio lì – dove Carlomagno sconfisse i longobardi – nacquero le premesse per il Sacro Romano Impero.

LA LEZIONE DI CERONETTI

Memorie sacre: proprio di quelle parlò un grande scrittore come Guido Ceronetti, all’indomani dello sgombero dei NoTav, sfrattati da Chiomonte. Giugno 2011: l’autore – anziano e malfermo sulle gambe – si fece portare lassù, alla Maddalena, nei prati ormai presidiati dalla polizia antisommossa. Scrisse un memorabile reportage, per “La Stampa”. E la sera offrì ai NoTav una sua personale lettura di poesie.

Scrittore anomalo, Ceronetti: eretico e solitario. Eppure, capace di firmare bestseller. Come “I pensieri del tè” e i due libri di testimonianza civile, “Albergo Italia” e “Viaggio in Italia”. Capolavori visionari: la denuncia dello sfacelo incipiente. E il potere mortifero del tecno-mostro postmoderno, nemico letale dell’umano. Il Moloch contemporaneo: l’abisso che sovverte ogni verità e annienta l’anima delle cose.

L’ITALIA VERSO L’ABISSO

La tesi: se perde il contatto con la natura, l’umanità si smarrisce. E chi vuole azzerarla punta proprio su quello: sul potenziale distruttivo della tecnologia più ostile. Poi ovviamente c’è sempre il rischio di incidenti. In valle di Susa si è già avverata la previsione dei geologi: nell’unica galleria finora scavata (il mini-tunnel accessorio di Chiomonte) le trivelle hanno intercettato una vena idrica sotterranea. Una falla gigantesca, da 100 litri d’acqua al secondo. Mentre alcune borgate alpine – dopo tre inverni senza neve – oggi vengono rifornite con le autobotti.

Paradossi? Certo: siamo nel grottesco, per davvero. L’Italia avrebbe bisogno di migliaia di miliardi. Scuole, ospedali, arterie vitali, autostrade da rifare. Crollano i viadotti, frana l’occupazione, si impennano i prezzi. Energia, materie prime. Urge un piano di resurrezione nazionale, fondato sul lavoro. E invece che facciamo? Baciamo le mani a Zelensky: li diamo a lui, i soldi. E sgridiamo i francesi, se osano mettere in discussione la più surreale emorragia finanziaria: quella rappresentata dall’inutile, desolante Torino-Lione.

GIORGIO CATTANEO

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