L’intelligenza artificiale costituisce una minaccia mortale per il genere umano. Lo afferma l’appello firmato da centinaia di grandi manager e ricercatori del settore, rilanciato dal New York Times il 30 maggio 2023.

Al tema di scottante attualità è dedicato anche il secondo numero del nostro mensile Visione, intitolato “Il moderno Prometeo artificiale” e acquistabile a questo link. Vi hanno partecipato Glauco Benigni, Eugenio Busellato, Francesco Carraro, David Colantoni, Alberto Contri, Antonello Cresti, Luca D’Auria, Antonio Ferrari, Elisabetta Frezza, Fulvio Grimaldi, Alfio Krancic, Alessandro Labonia, Alberto Lombardo, Alessio Mannino, Stefano Orsi, Riccardo Paccosi, Enzo Pennetta, Enrica Perucchietti, Roberto Quaglia, Lamberto Rimondini, Maurizio Tirassa, Gilberto Trombetta, Aldo Maria Valli, Andrea Zhok.

L’appello è veramente preoccupante, e non solo perché sono veramente preoccupati coloro che più di ogni altro conoscono l’intelligenza artificiale.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE È PERICOLOSA

Molti dei firmatari infatti siedono ai posti di comando di grandi aziende in concorrenza fra loro per incassare quanti più soldi possibili grazie anche all’intelligenza artificiale. Vengono da Google DeepMind, OpenAI, Anthropic eccetera: manca Meta, cioè Facebook. Però, seppur talmente consapevoli che il loro lavoro può portare ad esiti così catastrofici da lanciare un allarme, questi manager continuano a lavorare. Non si fermano affatto.

O almeno: fra loro, salvo l’eccezione del primo firmatario Goffrey Hinton, non risultano dimissionari né persone che abbiano tirato il freno a mano in azienda sull’intelligenza artificiale. Eppure dicono: “Mitigare il rischio di estinzione derivante dall’intelligenza artificiale dovrebbe essere una priorità globale, a fianco di altri rischi su scala sociale quali la pandemia o la guerra nucleare”.

I firmatari dell’appello, continuando a portare avanti nonostante tutto questo i rispettivi business, seguono evidentemente i comandamenti che prescrivono di aumentare il fatturato ed accumulare profitti ad ogni costo, battendo la concorrenza per non esserne battuti. Praticano cioè la religione del Mercato, che pervade questo nostro tempo, senza badare ai disastri che ne conseguono. È un motivo di allarme ancor più grave di quello relativo all’intelligenza artificiale in sé.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E IL MERCATO

Se di fronte a prospettive catastrofiche non si fermano per primi proprio coloro che le stanno creando, chi mai potrà salvarci? Dobbiamo forse sperare nello Stato? Ma la religione del Mercato, oltre a prescrivere che il business non si fermi,  ha ridotto lo Stato al ruolo di sua ancella. Analoghi ragionamenti valgono per gli organismi sovranazionali.

Lo abbiamo visto in questi tempi di Covid. Anche gli organismi sovranazionali si sono dimostrati assolutamente incapaci di contrastare gli interessi economici, e dunque hanno avuto il ruolo di ancelle del mercato. Puntiamo sulla vaccinazione, ha detto l’Oms, e Big Pharma si frega le mani: mortificate invece le cure domiciliari, in grado di far guarire in pochi giorni senza stressare né i servizi sanitari né le casse pubbliche.

I manager e i ricercatori che hanno firmato l’appello sull’intelligenza artificiale non hanno dettagliato i rischi mortali che essa causa per il genere umano.

Forse hanno voluto privilegiare il concetto che li unisce, al di là delle sfumature e dei punti di vista personali. Del resto, il nocciolo è facilmente intuibile: l’intelligenza artificiale può sopravanzare quella umana, e forse lo sta già facendo, col rischio di diventare incontrollabile. Forse invece l’appello è telegrafico per evitare qualsiasi accenno agli sviluppi e alle prospettive che le grandi aziende o i ricercatori tengono nel cassetto.

ASIMOV, LE TRE LEGGI DELLA ROBOTICA

In ogni caso, per evitare rischi mortali forse basterebbe applicare all’intelligenza artificiale le tre leggi della robotica. Uscirono ormai più di 70 anni fa dalla penna dello scrittore di fantascienza Isaac Asimof. Innanzitutto, dicono le tre leggi,  un robot non deve danneggiare un essere umano, né permettere che un suo mancato intervento lo danneggi. In subordine, un robot deve ubbidire agli esseri umani e, ancora in subordine, deve salvaguardare se stesso.

Per imporre all’intelligenza artificiale le tre leggi della robotica, tuttavia, serve uno Stato che non sia l’ancella del mercato ma che faccia gli interessi dei suoi cittadini, e che per questo governi anche il mercato. La concorrenza e la corsa al profitto non è il sommo bene: addirittura chi la pratica assiduamente – l’appello sull’intelligenza artificiale lo dimostra – è preoccupato per le conseguenze.

Solo nell’ottica dell’interesse generale – e non dell’interesse di accumulazione e profitto – diventerebbe gestibile anche l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro. Nei prossimi anni, pare, farà crescere del 7% il Pil ma solo a beneficio di pochi, dato che produrrà centinaia di milioni di disoccupati riducendoli presumibilmente in miseria.

È inverosimile aspettarsi che i manager dell’appello sui rischi dell’intelligenza artificiale riflettano anche su un nuovo rapporto fra Stato e mercato. Non è il loro mestiere, e soprattutto debbono le proprie fortune al rapporto attuale fra Stato e mercato. Dovrà dunque pensarci qualcun altro: e possibilmente in fretta.

GIULIA BURGAZZI

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