Si prepara l’ingresso del Kosovo nell’Unione europea. Oggi, giovedì 15 dicembre 2022, il Kosovo ha presentato la domanda ufficiale. L’ha fatto anche se una buona parte di Stati che compongono l’Ue non riconoscono il Kosovo stesso: quest’ultima è una cosa mai vista e surreale.
Tuttavia la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha già spalancato la porta dell’Ue davanti al Kosovo con un discorso tenuto durante una visita a Pristina, la capitale, poche settimane fa. Il posto del Kosovo è all’interno dell’Unione europea, ha affermato.
La domanda ufficiale di ingresso del Kosovo nell’Ue si inquadra nella crescente tensione fra Kosovo e Serbia, dalla quale il Kosovo stesso si è unilateralmente staccato nel 2008. I due Stati sono nati dalla dissoluzione della Jugoslavia e dalle guerre nei Balcani.
La Serbia è l’unica in Europa schierata a fianco della Russia anziché degli Stati Uniti. Il Kosovo invece nei fatti può essere considerato una sorta di protettorato di Nato e Ue. Fra l’altro, l’euro è la sua moneta. Ma soprattutto il Kosovo è una versione in sedicesimo di quell’Ucraina che l’Ue aiuta finanziarmente e militarmente contro la Russia. Non a caso nell’Ue stanno entrando altri tre Stati che incorporano conflitti con la Russia: la stessa Ucraina, la Moldova e la Georgia.
In Kosovo, la lingua e l’appartenenza culturale maggioritaria fanno riferimento all’Albania: tuttavia il Paese comprende una sorta di Donbass, cioè un territorio – il Kosovo settentrionale – linguisticamente, culturalmente e politicamente più vicino alla Serbia filorussa. Invece il Kosovo di lingua e cultura albanese è filo occidentale e filo europeo.
Per molti anni la tensione fra kosovari gravitanti sull’Albania e kosovari gravitanti sulla Serbia, se c’era, viaggiava sottotraccia. Negli ultimi tempi, che guarda caso coincidono grossomodo con la guerra in Ucraina, il Paese che vuole entrare nell’Ue è diventato una pentola a pressione.
Da giorni infatti i serbi del Kosovo settentrionale sono letteralmente sulle barricate. Nonostante le perentorie richieste di sgomberare, le barricate sono sempre lì.
La ragione delle barricate è l’arresto di un kosovaro di etnia serba accusato di coinvolgimento negli attacchi a posti della polizia kosovaro-albanese. L’antipasto delle barricate è stata la diatriba fra Serbia e Kosovo a proposito delle auto che nel Kosovo settentrionale circolano con targa serba. Era una diatriba in sé surreale, data l’apparente banalità del contendere. Dietro però c’era la sostanza. C’erano cioè due baricentri situati su altrettante galassie diverse che ultimamente sono entrate in rotta di collisione.
Anche l’arresto del kosovaro di etnia serba sarebbe una questione in sé risolvibile senza fare le barricate. E invece sembra di essere tornati nei Balcani del 1914, dai quali scaturì la scintilla che incendiò la Prima guerra mondiale. Ora il Kosovo è come una bomba pronta a scoppiare in faccia alla Serbia.
Però cinque Stati che fanno parte dell’Ue non hanno riconosciuto l’indipendenza di quello stesso Kosovo che ora bussa alle porte dell’Ue per portarvi il suo potenziale esplosivo. Si tratta di Grecia, Romania, Cipro, Slovacchia e Spagna. Quest’ultima ha grosse grane con le aspirazioni separatiste della Catalogna. L’autoproclamata indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia è un boccone troppo grosso e troppo indigesto da trangugiare.
Però Bruxelles somministrerà prevedibilmente a Madrid il Maalox, e se non basta anche un bel cicchetto di amaro Jägermeister. E la Spagna ingoierà il rospo chiamato Kosovo.
Durante la presidenza von der Leyen, l’Ue sta infatti subendo una sorta di mutazione genetica. Costituiva fondamentalmente un trattato commerciale, pur se con abbondanti e pervasive superfetazioni; è diventata la testa di cuoio degli interessi statunitensi in Europa. Ora il probabile ingresso del Kosovo nell’Unione europea è un altro passo in questa direzione.
GIULIA BURGAZZI