Il Governo è quello dei Migliori. Dunque non ha nulla da imparare: neanche dalle sciagure passate. Un decreto del MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze) autorizza di nuovo l’uso dei derivati per “operazioni di gestione del debito pubblico”. E’ datato 30 dicembre e, nel silenzio dei grandi media, è uscito sulla Gazzetta Ufficiale l’11 gennaio.
I derivati, più propriamente “strumenti finanziari derivati”, sono diventati tristemente famosi durante la crisi finanziaria del 2007-08. Ad essi è (oltre che ai famosi mutui subprime) è legato il fallimento di Lehman Brothers. La Treccani – anch’essa a suo modo la migliore, sebbene senza iniziale maiuscola – scrive che i derivati “si sono rivelati pericolosissimi nella gestione finanziaria pubblica italiana nel corso della crisi degli ultimi anni”. Eppure…
Eppure ci risiamo. Il passo saliente del decreto del MEF che li autorizza è all’inizio dell’articolo 3. Ecco lo screenshot.
Il quotidiano economico Sole 24 Ore ha esaminato con la lente di ingrandimento, qualche hanno fa, i contratti derivati stipulati in passato dallo Stato italiano e ha scritto che essi
Sono serviti per anni per ‘aggiustare’ di qualche zero virgola (quando era consentito dalla legge europea) il rapporto tra deficit e Pil
Dal 2006 al 2016 hanno pesato sul deficit pubblico per quasi 24 miliardi di euro. Hanno attualmente [l’articolo è datato 2017] un valore di mercato negativo di 31,8 miliardi
Memorabile l’indagine della Corte dei Conti. Sempre nelle parole del Sole 24 Ore, la Corte ha appurato che
ci vollero 20 anni perché i vertici del Tesoro arrivassero alla consapevolezza delle clausole asimmetriche che di fatto favorivano Morgan Stanley
Naturalmente il conto delle “clausole asimmetriche” a favore di Morgan Stanley l’hanno pagato i contribuenti. E ora? I funzionari del MEF chiamati a trattare i derivati dovranno prima studiarne approfonditamente la complessità e la struttura? L’articolo 4 del decreto precisa piuttosto che “tali operazioni sono concluse solo con istituzioni finanziarie di elevata affidabilità”. Siamo in una botte di ferro.
GIULIA BURGAZZI
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