Sembrano lontanissimi i tempi in cui Mario Draghi controllava, come un amministratore delegato, tutti i partiti della sua vastissima maggioranza, e senatori e deputati si mettevano sull’attenti ogni volta che “Supermario” proferiva parola.
Appena un anno dopo l’arrivo, tra gli applausi scroscianti, del banchiere a Palazzo Chigi la sua maggioranza va in pezzi e, complice l’avvicinarsi delle elezioni, i partiti cercano disperatamente di riconquistare una credibilità con il proprio elettorato, disubbidendo ai diktat governativi.
Nella notte di ieri, per ben 4 volte, il governo è andato sotto durante l’esame delle modifiche al dl Milleproroghe nelle commissioni Bilancio e Affari costituzionali alla Camera.
E in alcuni casi si tratta di temi strategici e di grande impatto simbolico, come quello del tetto all’uso del contante. Nonostante il parere contrario dell’esecutivo Forza Italia e Lega hanno votato un emendamento di Fratelli d’Italia che riporta a 2000 euro il limite massimo per i pagamenti dopo che dallo scorso primo gennaio era sceso a mille euro.
Governo battuto anche su Ilva, graduatorie scolastiche e test sugli animali. Un vero e proprio terremoto per una maggioranza che, teoricamente, è la più vasta della storia repubblicana. Peraltro che Draghi avesse perso il suo “tocco magico” proprio come era capitato a Monti prima di lui, si era già capito quando la sua ambizione di diventare presidente della Repubblica era stata frustrata dal parlamento.
Ma quelle su contanti e Ilva sono questioni marginali in confronto al rischio, ora concreto, che il governo venga sconfessato dal parlamento su quello che è il fulcro stesso della nascita dell’esecutivo di “unità nazionale”, ossia la campagna vaccinale.
Dopo aver appoggiato per due anni tutte le misure inefficaci e liberticide di “tutela della salute pubblica” targate ministro Speranza, il 5 stelle, per un tardivo istinto di sopravvivenza, cerca di ritrovare una sua autonomia e di cancellare l’immagine di zerbino del PD.
Terreno di scontro, neanche a dirlo, è il super green pass, che la maggioranza dei parlamentari grillini chiede sia abolito dopo la fine dello stato di emergenza il 31 marzo, mentre una decina di parlamentari vorrebbe abolire l’infame tessera verde già “nel primo provvedimento utile” . Conte, leader dimezzato, si dice contrario e cerca di frenare la fronda: «Chi lo firma si assume una grande responsabilità davanti al Paese» ha detto l’ex avvocato del popolo.
Ma la concorrenza per potersi intestare la battaglia per riaprire il Paese e cancellare le vergognose misure del governo che hanno privato milioni di cittadini dei diritti fondamentali è agguerrita.
La Meloni, come si conviene all’unico partito rimasto furbescamente all’opposizione (almeno formale) del governo Draghi, vuole l’immediata abolizione di tutte le restrizioni, come avviene ormai in tutta Europa, mentre la Lega, che subisce una costante emorragia di voti verso il partito della Meloni, chiede con un Emendamento presentato il 12 febbraio e sottoscritto da tutti i componenti leghisti della Commissione Affari Sociali della Camera, di cancellare il green pass con lo scadere dello stato di emergenza.
Si respira un aria da fine dell’impero e, in caso di sconfitta della linea del governo sul green pass la fine della maggioranza sarebbe sotto gli occhi di tutto il Paese, e Draghi non potrebbe che trarne le conseguenze. Ma siamo sicuri che questa prospettiva scontenti davvero papà banchiere? Dopo le promesse di miracoli economici e mirabolanti crescite del pil l’Italia si avvia verso una crisi economica e sociale senza precedenti. Draghi aveva provato a mettersi in salvo sul Colle più alto, ma fallito il tentativo non è escluso che voglia abbandonare la nave che affonda per dare ad altri la colpa del mancato miracolo. Può sempre tornare a qualche ruolo di alto prestigio nelle istituzioni finanziarie che, senza dubbio, i suoi amici saranno pronti ad offrirgli per premiarlo del lavoro fatto.
ARNALDO VITANGELI
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