Oggi, disse, licenzierei nove redattori su dieci: se infatti giornali e televisioni non avessero smesso di fare il loro dovere, ora avremmo sulla coscienza meno stragi e meno vittime, perché l’attuale potere non avrebbe mai potuto venderci impunemente tutte le menzogne con cui ogni volta ha costruito il pretesto per le sue guerre. Parole lapidarie, pronunciate tempo fa da un signore che oggi – a 75 anni – denuncia Joe Biden per il sabotaggio del gasdotto Nord Stream nel Baltico lo scorso 26 settembre: pianificato mesi prima dagli Usa (che avrebbero segretamente minato il condotto) e quindi eseguito – con la complicità del suddito di turno, la Norvegia – sganciando in mare la boa-sonar destinata a scatenare la detonazione.

IL GASDOTTO NORD STREAM SABOTATO DAGLI USA

Se ha fatto il giro del mondo, la segnalazione di Seymour Hersh (costringendo la Casa Bianca all’ovvia smentita d’ufficio) è perché l’autore non proviene dall’agguerrita galassia del web e dei social, facilmente liquidata come fanaticamente complottista. Si tratta di un anziano guerriero della verità, gratificato con il prestigioso Premio Pulitzer per aver mostrato al mondo il massacro di civili commesso nel 1968 a My Lai, in Vietnam, dalle forze statunitensi. Discende da un mondo antico, Hersh. Un mondo spietato ma ancora relativamente trasparente: quello che avrebbe permesso ai colleghi Bob Woodward e Carl Bernstein di sbandierare sulla prima pagina del Washington Post lo scandalo Watergate, cioè le intercettazioni abusive ordinate da Nixon per battere slealmente la concorrenza elettorale.

BUGIE DI GUERRA: VIETNAM, ABU GHRAIB, GAS SIRIANI

Non lo si può trattare come un mitomane, Seymour Hersh, proprio per via della sua storia e dei suoi scoop, ospitati – all’epoca – dalla grande editoria di un establishment occidentale ancora capace di tollerare dissonanze scomode, coltivando anticorpi e contrappesi democratici. Fu lo stesso Hersh, nel 2004, a pubblicare il dossier sullo sconcertante rapporto Copper Green, approvato da Donald Rumsfeld, che avrebbe autorizzato le infami torture inflitte ai prigionieri iracheni nel carcere-lager di Abu Ghraib. Ancora: sulla base di fonti di intelligence, nel 2013, sempre Hersh dimostrò che a sterminare innocenti in Siria con i gas nervini non era stato il regime di Assad; l’eccidio era stato compiuto dalle milizie jihadiste armate dall’Occidente.

C’ERA UNA VOLTA IL GIORNALISMO, ANCHE IN ITALIA

Fa effetto, oggi, osservare l’impegno con cui i grandi media italiani si sforzano di presentare al loro pubblico il personaggio Hersh: come se fosse una specie di relitto antropologico, appartenente a un’altra specie. Una categoria umana simile a quella che accomunava i vari Bocca, Biagi, Zavoli, Montanelli. Cioè i giornalisti veri, come Giulietto Chiesa: il più pronto a gridare che la strada dell’abisso è sempre lastricata di pericolose bugie. E infatti eccoci arrivati all’ultimo episodio: il dittatore pazzo Vladimir Putin ha rubato la scena al mostro di ieri, il terrificante male incurabile e pandemico, inarrestabile se non con una serie di iniezioni, prescritte da un potere onnisciente che ha sulle spalle il crollo delle Torri Gemelle e quindi vent’anni di guerre e violenze a orologeria, in un crescendo spaventoso di frottole.

IPNOSI DI MASSA E CURE NEGATE, LA MORTE DI DE DONNO

Non è mai stato comodo, dire la verità. Ma oggi l’operazione si dimostra addirittura temeraria, in un habitat mediatico vigilato dall’esercizio ormai militare della censura. Siamo il paese che ha già dimenticato persino il dottor Giuseppe De Donno, morto per aver trovato – per primo, al mondo – la cura immediata e decisiva contro il grande male pandemico: terapia semplicemente ignorata, gettata nella spazzatura insieme al suo scopritore. Molto meglio l’ipnosi di massa, il bollettino di guerra imposto a reti unificate, le vessazioni medievali introdotte nel 2020, il regime di apartheid e le devastanti discriminazioni pseudo-sanitarie inflitte ai dissidenti sulla base di un’ecatombe che – ora lo sappiamo – non si sarebbe mai verificata, se solo non fossero state ostacolate le tempestive cure domiciliari, inutilmente segnalate per mesi dai migliori medici.

Psicologia: la cosa più difficile consiste sempre nell’ammettere la possibilità di non aver capito niente, di essere stati letteralmente presi in giro. Non è mai rapido – e tutt’altro che indolore – l’eventuale ritorno alla realtà. Le cattive notizie, poi, non le accettiamo volentieri. Atteggiamento umanissimo, immortalato dal Vecchio Marinaio nel capolavoro letterario di Coleridge: nessuno vuole ascoltarlo, il sopravvissuto, quando racconta che il naufragio aveva scatenato – anziché la solidarietà – la ferocia più assoluta e impensabile. Merito del panico, davanti al quale si smette di ragionare: mors tua, vita mea.

IL CORAGGIO DI SVEGLIARSI: USCIRE DAL TRUMAN SHOW

Anche per questo, forse, non è agevole accogliere la verità di un reporter di razza, sopravvissuto a un altro naufragio (quello del giornalismo occidentale). La sua tesi: il potere da cui dipendiamo è bugiardo e criminale, un incallito propagandista della più subdola delle imposture. La sua vocazione non è più democratica, l’istinto che tradisce è ormai chiaramente totalitario. E le sue vittime non sono neppure i russi: siamo noi, in primis. Noi, il bestiame umano da terrorizzare e ricattare in ogni modo. E infatti oggi, defunta la libertà sull’altare dell’obbedienza, si marcia verso un baratro che in ogni istante potrebbe di colpo spalancarsi sotto i nostri piedi.

Viene da domandarsi quale speciale divinità protegga gli alieni del calibro di Seymour Hersh, fedeli a un’antica regola cavalleresca: sfidare il male, senza timore di subire ritorsioni. Però non sono mai completamente soli, certi cavalieri. Non lo è neppure lui, l’anziano reporter del New Yorker: l’esistenza stessa delle sue fonti d’intelligence suggerisce l’idea che qualcuno – lassù, dietro le quinte – ne abbia avuto abbastanza, di questo copione di morte basato sulle falsità. Ecco perché utilizza le armi di cui dispone (anche le vecchie glorie come Hersh) per provare a suscitare il risveglio dei dormienti, mettendo fine a questo sanguinoso Truman Show fondato sull’ignominia.

GIORGIO CATTANEO