Il tweet è partito a fine luglio dall’account Covid19crusher e riporta i dati ufficiali dei contagi nell’isola nordica, accompagnati dal commento:

“Distanziamento e mascherine sono tornati in una delle nazioni più vaccinate del mondo: l’Islanda”.

Il 25 luglio, infatti, venivano nuovamente imposte nell’isola, fino al 27 agosto, restrizioni al fine di prevenire i contagi. Fact checkers della Reuters si sono affrettati a smentire il tweet. Non a smentire i dati riportati, ma a confutare la logica che se ne evince, e cioè che le vaccinazioni non hanno sortito l’effetto sperato. Si legge nel comunicato della Reuters:

“Comunque, nonostante le statistiche siano accurate, i dati non sono la prova che i vaccini siano inefficaci nel contrastare la malattia sintomatica, e in un Paese con un alto tasso di vaccinazioni, un tasso di positività superiore fra i vaccinati che non fra i non vaccinati è prevedibile.”

E ancora:

“Uno studio della Public Health England (PHE) ha trovato entrambi i vaccini, Oxford-AstraZeneca e Pfizer-BioNTech, efficaci contro l’ospedalizzazione dovuta alla variante Delta. Secondo il direttore Generale Knútsdóttir, il tasso di protezione dall’ospedalizzazione a seguito della vaccinazione in Islanda è compatibile con i risultati dello studio PHE. […] Le prove dimostrano che i vaccini utilizzati in Islanda proteggono al 60% i vaccinati con doppia dose da ogni tipo di infezione data dalla variante Delta e per oltre il 90% dalla malattia grave”.

Peccato che la stessa e identica percentuale di asintomatici fosse generalmente riscontrabile ben prima delle vaccinazioni, durante le prime ondate, come affermò anche il dottor Palù che stimò che il numero di asintomatici e paucisintomatici costituisse circa il 95% dei positivi al Covid-19. Anche allora, si era nell’ottobre 2020, assistemmo a una pronta smentita. A rendere quasi divertente l’episodio ci pensano i numeri stessi riportati nel tentativo di debunking, a opera di un sito piuttosto noto: sbagliava Palù a dichiarare che il 95% dei positivi erano asintomatici o paucisintomatici perché la percentuale di asintomatici si assestava, secondo l’articolo, circa al 58%, cui andavano aggiunti il 14,2% di paucisintomatici e il 19,9% “con sintomi lievi” (altrimenti detti proprio paucisintomatici, ma perché formalizzarsi con questi dettagli?), per un totale di 92,1%. Era quindi davvero un errore grossolano da parte del dottor Palù? O piuttosto un errore di calcolo da parte dei redattori dell’articolo? O disistima nei confronti del lettore ritenuto incapace di comprendere le perifrasi e far di conto?

Eppure, anche assumendo l’efficacia dei vaccini nel contrastare la pressione ospedaliera, in un Paese in cui, come riporta l’Iceland Review in data 16 agosto, la percentuale della popolazione vaccinata oltre i dodici anni di età si aggira sull’84% del totale, – e solo perché la campagna vaccinale nella fascia 12-15 anni è partita negli ultimi giorni – e che supera l’80% nelle fasce fra i 16 e i 49 anni, e addirittura il 90%  nella popolazione oltre i 50 anni (fino ad arrivare al 99,06% nella fascia d’età 70-79), il ripristino della vecchia formula mascherine, distanziamento sociale e igienizzante tradisce la promessa di un ritorno alla normalità. Quella promessa globalmente presentata come bandiera della campagna vaccinale e ripetuta come un mantra da buona parte di chi ha scelto di aderirvi.

Il 12 agosto lo stesso Iceland Review, titolando “La grande sfida del personale ospedaliero nell’attuale ondata”, dava notizia del prolungamento delle restrizioni fino al 27 agosto, e riportava le parole dell’epidemiologo Þórólfur Guðnason pronunciate al briefing tenuto a Reykjavík nello stesso giorno. Guðnason, riferisce ancora l’Iceland Review, affermava che le restrizioni stavano prevenendo una nuova ondata, ma dichiarava altresì che la crescita dei casi di positività aveva un andamento lineare e invitava pertanto i pochi non vaccinati a farsi somministrare la loro dose entro la settimana, poiché la massima preoccupazione delle autorità riguardava la capacità del sistema sanitario. In una nazione che fa vanto di una campagna vaccinale quasi totale che dovrebbe prevenire la malattia fortemente sintomatica? Pressione che peraltro, a guardare i numeri islandesi, non sembrerebbe allarmante pur considerando l’esigua popolazione della nazione (1302 casi di cui 27 ospedalizzati nella giornata precedente le dichiarazioni dell’epidemiologo), se non fosse che degli 87 nuovi casi registrati in data 24 luglio, vigilia della reintroduzione delle restrizioni, 71 (quindi per una percentuale dell’81,6%) erano già vaccinati con doppia dose. Dati riportati dall’account Covid19crusher, confermati persino dai debunkers della Reuters e ancora visibili nei grafici del sito ufficiale islandese dedicato al Covid (https://www.covid.is/data).

E c’è di più: il 14 agosto l’Iceland Monitor riporta:

“L’unità di terapia intensiva dell’Ospedale universitario d’Islanda (Landspitali) è messa a dura prova dal recente aumento dei casi Covid-19. Il Morgunblaðið [quotidiano islandese, N.d.R.] riporta che attualmente 30 persone affette da Covid-19 sono ospedalizzate, di cui 7 in terapia intensiva e 23 nel reparto medicina d’urgenza. Dei 7 pazienti ricoverati in terapia intensiva, 4 sono vaccinati con doppia dose”.

Doppia dose che avrebbe dovuto prevenire l’infezione gravemente sintomatica stando alle promesse (disattese) dei medici sopra citati. Non ci pervengono dati su età e stato di salute dei ricoverati, ma fortunatamente tendiamo a immaginare che i fattori di età e comorbilità, essendo irrilevanti nella narrazione mediatica riguardo ai casi Covid non vaccinati o precedenti la campagna vaccinale, non costituiscano, per par condicio, un aspetto che possa pregiudicare una lettura degli eventi intellettualmente onesta.

Anche nella sezione esteri del New Zealand Herald, qualche giorno prima, si leggeva “l’ondata sta seriamente affaticando il sistema sanitario della piccola nazione“. Le restrizioni imposte a dei cittadini che pagano per un sistema sanitario inadeguato sono una storia noiosa e sgradevole, già vista e rivista anche su sponde più familiari e più calde rispetto a quelle aspre d’Islanda. E dire che il sistema sanitario pubblico islandese è considerato uno dei più efficienti al mondo, se si vuol prendere per buono ciò che si legge nella promozione turistica.

Disse l’umorista Arthur Bloch “Colui che sorride quando le cose vanno male ha trovato qualcuno a cui dare la colpa”. Ebbene, questa povera isola felice non ha nemmeno un movimento “no-vax” contro cui puntare il dito.

 

MARIANGELA MICELI

 

Riferimenti sitografici:

https://www.covid.is/categories/effective-restrictions-on-gatherings

https://www.icelandreview.com/ask-ir/whats-the-status-of-covid-19-vaccination-in-iceland/

https://www.icelandreview.com/society/covid-19-in-iceland-hospital-staffing-main-challenge-in-current-wave/

https://www.nzherald.co.nz/world/covid-19-coronavirus-iceland-deals-with-growing-delta-problem/POBMY237SUXMD46PHFEZ3OU2BA/

https://icelandmonitor.mbl.is/news/news/2021/08/14/iceland_s_main_icu_strained_by_new_covid_19_cases/

https://www.reuters.com/article/factcheck-iceland-vaccines-idUSL1N2P918F