Questa volta sono i PCM, Predator Catcher Munchie, a beccare sul fatto l’ennesimo crimine su minori, per poi rilanciarlo sul profilo Twitter di @anopensecret, un profilo interamente dedicato alla condanna di pedofilia e pedofili. Nel mirino della puntata questa volta Jeren Miles, un ormai ex manager di Facebook/Meta, che mette candidamente a nudo le sue perversioni davanti alla telecamera, in un video di circa un paio di ore, subito divenuto virale in rete.
In seguito alla messa in onda del video di PCM, Miles ha prontamente cancellato i suoi profili social e immediatamente si è dato alla macchia, facendo perdere le sue tracce. Seppur sia giusto precisare che nel video non si vedono atti proibiti, nè si parla di fatti espliciti, tuttavia è doveroso ricordare che l’ uomo interrogato della troupe amatoriale del canale confessa candidamente di aver parlato di sesso con un ragazzino di appena tredici anni.
Facebook, immediatamente messo a conoscenza del fatto, ha confermato che Miles, il quale aveva in un recente passato lavorato come manager per la compagnia, non è attualmente impiegato presso di loro, sebbene non sia ad oggi chiaro se l’ex impiegato abbia abbandonato il lavoro volontariamente, oppure sia stato allontanato dai suoi superiori.
“La serietà delle accuse non può essere certo ignorata e anzi richiede un più che doveroso approfondimento“, rispondono da Meta, anche perché non è certo la prima volta che la compagnia si trova in acque non limpidissime.
Si ricorderà sicuramente lo scandalo che colpì la compagnia quando Dov Katz, manager di Oculus, una branca della compagnia, fu arrestato nel 2016 nei pressi di Seattle all’età di 38 anni dopo aver preso accordi per far sesso non protetto con una ragazzina di 15 anni ed essere stato beccato dalla polizia presso l’hotel deputato all’incontro con la minore.
Ma funziona tutto sempre con tale solerzia? Non proprio, o per lo meno pare si faccia una certa distinzione tra i crimini commessi dagli impiegati della piattaforma e quelli di coloro che utilizzano la piattaforma.
Infatti, Facebook che appare così severa nel colpire questi scandali casalinghi da cucinare in fretta e dare subito in pasto al pubblico, in realtà poi non sembra parimenti decisa ed intransigente nella rimozione di materiale inadeguato dalla propria piattaforma. I moderatori non sono sufficientemente preparati e addirittura persino i software utilizzati sembrerebbero non ottimali per il ruolo che dovrebbero rivestire.
Una talpa ha addirittura rivelato non molto tempo fa che i programmi atti a rilevare il materiale incriminato non siano stati sviluppati del tutto perché troppo complessi, ma non solo. Da non crederci, ma coloro che vi avrebbero dovuto lavorare avrebbero poi invece deciso di abbandonare il progetto perché “non vi sarebbe un adeguato ritorno per l’investimento fatto“.
Sembra proprio quindi che anche questioni così importanti come la protezione dei minori in rete sia per la piattaforma di secondaria importanza soltanto poiché meramente non redditizia. “Una cosa inaccettabile”, afferma con convinzione la talpa, “perché mentre in generale è legittimo fare calcoli di ordine economico, quando si tratta di abusi e di questioni di pubblica sicurezza la faccenda denaro e affari deve rimanere assolutamente fuori”.
Nuovamente quindi Facebook balza alle cronache per uno scandalo e si fa notare per l’ipocrisia delle sue posizioni. E così, tra guai finanziari, ed iscritti che per la prima volta in anni abbandonano la piattaforma, si compie quella strana maledizione che qualcuno aveva visto nel termine meta di cui Mark Zuckerberg aveva parlato in termini così entusiastici.
“Meta sarà un rinnovamento per Facebook, sarà la sua naturale evoluzione verso un universo di complessità e di meta realtà”, sentenziò il fondatore della piattaforma, ma qualcuno gli ricordò che la scelta di quel nome non era poi tanto felice. Meta potrebbe infatti segnare la morte del social. E così pare essere.
MARTINA GIUNTOLI
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