Che l’aria si sia fatta pesante tra Cina e Stati Uniti è evidente. Da tempo gli States temono il boom economico del Dragone, e le sanzioni contro cinque aziende cinesi, colpevoli secondo il governo Biden, di sostenere l’esercito russo, era stata solo l’ultima di una serie di azioni americane ad irritare Pechino.

Pur mantenendo un minimo di rapporti diplomatici, il livore è cresciuto nel tempo, sia per il supporto all’operazione speciale russa in Ucraina, sia per la sempre più concreta possibilità di una visita di Nancy Pelosi, terza carica dello Stato negli Usa, a Taiwan, vicenda che potrebbe innescare un allargamento del conflitto in Estremo Oriente.

Gli Usa stanno sparando tutte le cartucce a disposizione per mantenere lo status quo del mondialismo dollaro centrico, ma, già a Giugno il discorso del presidente Putin ha fatto capire che il resto del mondo, i Paesi sfuggiti all’influenza statunitense, non staranno a guardare.

Durante Business Forum Brics  a fine Giugno era stata annunciata la volontà, da parte dei paesi aderenti – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica- di creare una nuova valuta comune, da utilizzare al posto del dollaro per gli scambi internazionali.

“Stiamo esplorando la possibilità di creare una valuta di riserva internazionale basata sul paniere di valute dei Paesi BRICS”, aveva dichiarato il Presidente Putin, alla presenza dei presidenti Bolsonaro, Ramaphosa e Modi e incassando l’elogio di Xi Jinping.

Il nuovo conio comprenderà un paniere di tutte le monete degli Stati membri -rubli, renminbi, rupie, real e rand- e se concretizzato, costituirebbe una vera bomba atomica in grado di far sgretolare il primato della valuta americana nel mondo finanziario: una decisione storica poiché porterebbe alla formazione di un circuito economico alternativo e concorrente, a quello dominato da Euro e Dollaro.

Un’alternativa alla governance mondiale dominata dall’Occidente quindi, che attirerebbe molte riserve monetarie  non solo degli  stessi paesi BRICS  ma anche da nazioni considerate all’interno della loro sfera di influenza, come gli Stati più “amici” nel Golfo o nell’Asia meridionale.

Il blocco BRICS  costituisce  il 25% degli investimenti esteri a livello globale oltre che il 18% del commercio di merci. Nonostante la pandemia, nel 2021 il volume totale degli scambi di merci dei Brics ha guadagnato circa il 34% su base annua.

Il mondo vuole cambiare guardando ad Oriente: l’asse economico si sta spostando velocemente in direzione di quei Paesi finora considerati di “secondo piano”.  I russi non considerano più Europa e USA come prima scelta nella vendita di materie prime strategiche, fondamentali per l’economia e le imprese: Pechino e Nuova Delhi crescono in modo significativo e, a causa delle sanzioni, Mosca sta reindirizzando il proprio commercio verso i Paesi del gruppo Brics, lo abbiamo visto con la rivalutazione del rublo.

L’Europa continua a sottovalutare l’importanza economica e politica dei Brics nel loro insieme, sprofondando in una crisi cronica dell’economia.

Abbandonare la mentalità da Guerra Fredda e di confronto tra gruppi, opporsi alle sanzioni unilaterali e all’abuso delle sanzioni per superare l’egemonia e le piccole cerchie” aveva detto il Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping.

Se davvero si  consolidasse questa sinergia tra economie e commerci, moneta unica o meno, i Brics costituirebbero  un blocco di giganti rispetto ai nani europei:  una pietra tombale definitiva sul dominio occidentale, oltre che un serio rischio in caso di allargamento del conflitto. Tutto a causa della perversa e scellerata linea Atlantista scelta dall’Europa e dal nostro Governo in particolare.

ANTONIO ALBANESE

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