Aristotele, nella sua visione della Politica, avvertiva che non è possibile entrare nella città credendo di poter fare a meno degli altri poiché chi lo pensasse o è bestia o è Dio.

Il riconoscimento che proviene dagli altri, e dalla socialità che con gli altri si crea, è al contempo una necessità e un dono sociale di cui l’individuo non ha mai potuto fare a meno.

L’identità individuale, seppur da piazzare al centro di un instabile crocevia delle scienze sociali, ha avuto da sempre una propria vitale utilità che dipende dal contesto sociale da cui ci attendiamo un riconoscimento quotidiano che ci permetta di vivere la nostra vita con gli altri e grazie agli altri.

Ma da quando siamo entrati definitivamente – e irreversibilmente – nell’era digitale questo antico paradigma sociale è stato eroso dalla tecnologia che è riuscita a sostituire il riconoscimento proveniente dagli altri con sé stessa. E non si tratta di una sostituzione priva di effetti radicali poiché l’identità individuale – di per sé mutevole e flessibile quanto il nostro “io” – non ritrova più la propria risonanza biologica e sociale negli altri ma nell’artificio della tecnologia.

L’esempio di questo cambiamento (i cui effetti di lungo periodo non siamo affatto in grado di prevedere) è tanto evidente e attuale quanto da molti arrendevolmente accettato.

Al proposito occorrono delle profonde riflessioni che oggi possono muovere da ciò che sta accadendo rispetto alle misure normative ed organizzative iscritte a potenziale rimedio tecnologico della crisi sanitaria.

Tra tali misure spiccano le “certificazioni digitali interoperabili” (cosiddetti “Green Pass”) nazionali ed europei che, peraltro e appunto, stanno creando numerosi problemi di riconoscimento sociale da cui dipende l’esercizio di un diritto fondamentale di libertà: la libera circolazione delle persone.

Questi problemi da “certificazione digitale” – che in definitiva sono la difettosa risonanza tra la richiesta di riconoscimento sociale e la macchina tecnologica – non sono pochi, né di scarsa importanza. Vediamone alcuni esempi:

  • In molti hanno segnalato di non aver ricevuto la loro certificazione digitale sull’applicazione denominata Io per i servizi della pubblica amministrazione che avrebbero dovuto inviarla automaticamente grazie alle interconnessioni con l’appositamente creata piattaforma nazionale c.d. DCG posta sotto il controllo del Ministero della Salute.
  • Gli operatori sanitari “costretti” a vaccinarsi agli inizi del 2021 e che non hanno fornito il numero di telefono o un contatto e-mail, poiché informazioni al tempo non necessarie, non hanno potuto ricevere (o ricevere per tempo) il codice denominato “authcode” quale dato di accesso e utilizzo della certificazione digitale presente sul sito ministeriale o sul Fascicolo Sanitario Elettronico.
  • Chi, dopo la sospensione di AstraZeneca, si è sottoposto alla vaccinazione attraverso una seconda dose di un “vaccino” diverso ha ottenuto due attestazioni che indicano la somministrazione di una sola dose. Ciò che, di conseguenza, ha impedito di dimostrare il completamento del ciclo farmacologico e, quindi, di viaggiare in Paesi europei che richiedono due dosi per evitare di essere sottoposti a ulteriori restrizioni della libertà personale, come la quarantena.
  • Tra i vari certificati digitali i problemi più diffusi sono stati registrati rispetto a quelli di c.d. “comprovata guarigione” che, difatti, faticano a giungere presso la detta piattaforma DGC ministeriale. Il ritardo pare essere dovuto al mancato inserimento o all’inserimento errato dei codici fiscali dei medici che hanno accertato la guarigione. Si tratta di dati personali non sempre di immediato e facile reperimento e corretto inserimento nel campo di scheda digitale impostato come obbligatorio e che, solo una volta completato, permette di definire la procedura.
  • Ma anche i certificati digitali da tamponi c.d. antigenici (soprattutto nasali), non possedendo una  corrispondenza informatica con le liste delle certificazioni europee, non consentono sempre la loro associazione con i codici resi disponibili.
  • Un’ulteriore criticità sembra essere data dal fatto che l’obbligo di indicare data e ora dell’effettuazione del test, da cui scatta l’inizio del periodo di validità della certificazione, non trova corrispondenza nei campi delle schede informatiche dei sistemi in uso poiché non sempre è stata ab initio prevista la loro obbligatorietà e, quindi, non si riesce a completare la procedura TS.
  • Oltretutto, volendo analizzare un profilo più propriamente normativo, non è ben chiaro come si possa procedere rispetto ai minori ricompresi nella fascia di età da 2 a 6 anni, a eccezione dei bambini per i quali risulti una comprovata guarigione. Invero se solo sopra i 6 anni è possibile eseguire un test e solo oltre i 12 anni essere sottoposti a vaccinazione farmacologica, non è dato comprendere come i minori dai 2 ai 6 anni possano eventualmente ottenere una certificazione digitale.
  • Pare infine che in pochissimi riescano a ottenere il riconoscimento digitale dalla rappresentanze diplomatiche estere, ovvero dagli Uffici di sanità marittima, aerea o di frontiera, rispetto all’effettuazione del vaccino farmacologico somministrato in Paese extra UE, anche nel caso in cui siano stati utilizzati vaccini riconosciuti nel paese europeo di provenienza.

Eppure le criticità qui messe in evidenza, senza dubbio di grande peso sociale, non colgono forse il sostrato più profondo del cambiamento radicale su cui ci muoviamo e che, oggi, fa (nuovo) mondo sotto più profili: alcuni dei quali più delicati di altri.

Gli esempi di disfunzione proposti, al di là del disagio che gli stessi palesemente protestano, segnano nel profondo il paradigma ancestrale che vede l’identità individuale quale retroflessione proveniente dagli altri esseri umani: e infatti il rapporto tra la domanda e la risposta che incide sulle inerenti relazioni sociali non pare più semplicemente mediato dallo strumento tecnologico ma è (esso stesso) tecnologico.  

E appare altrettanto evidente negli esempi descritti la cattiva risposta che “la macchina” (inizialmente) produce: anche se, in “verità”, si tratta di una cattiva risposta da cui presto quella stessa tecnica si allontanerà così come è accaduto in tutti gli altri casi in cui l’uomo è stato sostituito dall’apparato tecnologico. Basti al proposito pensare che, oggi, dopo i vari primi errori che hanno permesso di migliorare la tecnica aviatoria, un pilota di un volo di linea controlla manualmente l’aeroplano solo per il 3% del tempo di volo e, peraltro, non perché sia realmente necessario che lo faccia (nemmeno in fase di atterraggio).

In questo nuovo scenario, almeno a prudente avviso di chi scrive, due potrebbero essere gli elementi sociali a cui è stata impressa una impressionante spinta qualitativa e quantitativa: il diritto e i dati personali delle persone fisiche.

Il primo elemento sociale che tale situazione emergenziale stressa oltremisura è da ricercarsi nella produzione normativa che, in ragione dell’espansione degli apparati tecnologici, soffre sempre più di ipertrofia. Ipertrofia legislativa che, in sostanza, porta all’incontrollabilità del precetto normativo e, dunque, all’impossibilità di applicazione sostanziale (e men che mai esatta) delle regole sociali e che riceve una doppia pericolosa spinta dalla crisi sanitaria in atto.

Da una parte, difatti, si crea la necessità di normare l’esigenza primaria quale, ad esempio, quella di regolamentare il rilascio e il controllo delle certificazioni digitali sanitarie e, dall’altra, bisogna al contempo normare, attraverso una ulteriore serie di provvedimenti di completamento, l’apparato tecnologico mediante il quale dare applicazione concreta all’esigenza primaria resa oggetto di disciplina normativa: tutto ciò rende piuttosto prevedibile che, a breve, come peraltro già esperimentato da alcuni paesi occidentali, l’utilizzo della c.d. intelligenza artificiale in ambito giuridico si renderà pressoché necessitato.        

Avuto riguardo ai dati personali delle persone fisiche, la riflessione da compiere può considerarsi ancora più incisiva.

Devo dire che rispetto all’importanza che nell’ultimo ventennio hanno acquisito i dati personali non ho mai trovato del tutto esaustive o persuasive le (molto valide ma pur sempre limitate) risposte date da coloro che, invero, l’hanno individuata e spiegata con riguardo, ad esempio, ai pericoli che potrebbero correre le persone a cui i detti dati si riferiscono, ovvero per le finalità distopiche da intravedere nella volontà di controllo massivo dei cittadini, ovvero ancora poiché da ricondursi al mero “capitalismo della sorveglianza” (qui in disparte, a tale ultimo proposito, la considerazione che ho più volte “timidamente” cercato di esporre circa l’autosufficienza della tecnica anche rispetto al capitale tradizionale, finanziario, o al c.d. “tecno-capitalismo”, in quanto penso destinato ad essere marginalizzato dopo aver scontato un breve periodo di asservimento – quale mezzo – alla tecnica stessa).

Credo infatti che l’importanza dei dati personali sia oggi più che mai da ascrivere nel concetto (seppur mutevole) di identità personale di tipo sociale, ossia in quel tipo di riconoscimento identitario che ogni individuo cerca dalla collettività e nella collettività in risposta ai propri bisogni.

Tale identità che chiede riconoscimento, però – come visto con gli esempi delle certificazioni digitali –  non proviene più, o proviene sempre meno, dagli altri, bensì direttamente dal funzionamento di apparati tecnologici. Funzionamento che dipende in primo luogo dal corretto trattamento quale generazione, inserimento, trasmissione e conservazione di dati personali delle persone fisiche che la “macchina” processa e restituisce in termini di riconoscimento identitario dei bisogni e delle libertà primarie dell’individuo.

Ciò è inquietante?

Si, senza dubbio; in primo luogo poiché non è possibile prevedere gli effetti futuri di tale radicale mutamento dei/nei rapporti identitari, né sapere sino a che punto “l’essere uomo” sia in grado di adattarsi (così come ha sempre fatto con alternanza di fortuna) all’impressionante velocità “evolutiva” della moderna tecnica.  

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