Si riaffaccia il fantasma del fracking in Europa, e non solo perché viene dal fracking lo stracaro gas liquefatto statunitense con il quale si vorrebbe rimpiazzare quello russo, che è trasportato da gasdotti e dunque a buon mercato.

Il fracking è una tecnica per estrarre il gas semplicemente devastante dal punto di vista ambientale. Si calcola (stima 2014 proveniente dal Parlamento Europeo) che l’Europa custodisca 14 trilioni di metri cubi di shale gas, cioè di gas estraibile con la tecnica del fracking. Basterebbero per molti e molti anni, anche se il prezzo sarebbe ecologicamente insostenibile. La tentazione di fare ricorso al fracking sembrava infatti sparita dall’orizzonte europeo. La crisi energetica la sta riportando in auge. Purtroppo.

L’ultima puntata revival del fracking in Europa è una recentissima intervista del ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner al quotidiano Bild. Qui un riassunto in inglese. Praticamente, per sostituire il gas russo il ministro propone di eliminare il divieto di effettuare il fracking, che era stato istituito per motivi ambientali.

Il ministro Lindner non è l’unico, in Europa. Nell’anno che si è appena concluso, a fronte della crisi energetica l’Ungheria ha deciso di perseguire l’estrazione di gas “non convenzionale” nel giacimento Nyékpuszta. “Non convenzionale” significa che bisognerà ricorrere al fracking.

Anche l’ex primo ministro britannico Liz Truss ha cancellato il divieto di utilizzare il fracking. Il suo successore Sunak l’ha però ripristinato.

Quanto all’Italia, ci si limita (almeno per ora) ad estrarre un pochino di gas convenzionale nonostante il rischio di aumentare la subsidenza nel delta del Po. Non si parla di fracking, ma non è nota la presenza di giacimenti sfruttabili con questa tecnica.

Cosa comporta il fracking? Utilizzarlo significa scassare e avvelenare le profondità della Terra. Può anche significare avvelenare l’acqua. Si tratta di una tecnica ben diversa dall’estrazione convenzionale del gas, che – ridotta in termini brutalmente minimi – consiste nel trivellare un buco profondissimo per succhiare ciò che ne esce.

Il fracking consente di estrarre il gas intrappolato nelle porosità delle rocce. Invece di trivellare un solo pozzo verticale (diciamo a “I”) come nei giacimenti convenzionali, si trivellano molti pozzi grossomodo a “L”. Le trivellazioni vanno fatte in serie, a poca distanza una dall’altra. Poi – sempre riducendo tutto in termini brutalmente minimi – si pompano ad alta pressione dentro ai pozzi grandi quantità di acqua, prodotti chimici e granulati tipo sabbia.

Con questo si ottengono tre cose. Si fratturano le rocce situate in profondità, comprese quelle nella parte orizzontale della “L”, affinché il gas ne possa uscire; si provoca lo scioglimento di vari sali minerali nelle rocce stesse, così che il gas possa uscire più facilmente dalle fratture; e si introducono nelle fratture i granuli che le mantengono aperte.

Tutto questo non è privo di effetti collaterali. Non è affatto detto che sia possibile raccogliere l’intera quantità del gas uscito dalle rocce fratturate. Se al di sopra delle rocce stesse c’è una falda d’acqua, il gas può infiltrarsi al suo interno: in questo modo finisce per incendiarsi perfino l’acqua del rubinetto. Anche le sostanze chimiche pompate nei pozzi, ovviamente, possono percorrere la medesima strada del gas ed inquinare la falda idrica.

Non basta. Il cocktail di acqua e sostanze chimiche usato per fratturare le rocce torna in gran parte in superficie, arricchito – si fa per dire – da altre sostanze incontrate nel sottosuolo: è così tossico che non si può semplicemente depurarlo e buttarlo da qualche parte. Così lo si inietta di nuovo nelle profondità della terra. Questo può innescare terremoti, come peraltro capita può accadere anche per il fracking in sé e per sé.

Di questa tecnica devastante si torna ora a parlare in Europa. Pur di fare a meno del gas russo, c’è gente disposta a scassare la Terra ed avvelenare l’acqua.

GIULIA BURGAZZI

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