
Fine del grande equivoco: svendere l’Italia, fingendosi di sinistra
Lo «stridore rabbioso» di certi ambienti del progressismo radical chic per alcuni provvedimenti del governo Meloni (pur timidi e senza discontinuità, rispetto al passato) è il segno che l’occupazione del potere «comincia ad essere messa in discussione da un mutamento dei venti». Qualcosa che «si avverte non solo in Italia», e che «sta lacerando la rete fabiana stesa su un paese reso inerme da Mani Pulite».
Lo scrive Silvano Danesi su “Nuovo Giornale Nazionale”, scrutando – forse con una punta di eccessivo ottimismo – tra le recenti inquietudini del vecchio continente, messo alla frusta dalla storia dopo esser stato letteralmente disabilitato dal neoliberismo. «Se guardiamo al vento che spira in Europa, la vicenda italiana è fondamentale anche per una svolta nell’Unione Europea, che nel 2024 potrebbe chiudere il trentennio fabiano».
LA RETE DELLA FABIAN SOCIETY
L’allusione è alla Fabian Society, di cui ha scritto l’ottimo Davide Rossi (rimediando anche una querela da parte del fabiano Roberto Speranza). Il pupillo di Bersani, ex ministro della salute e gran persecutore degli italiani nel triennio plumbeo del Covid, è cresciuto all’ombra di Massimo D’Alema, che insieme a Romano Prodi sarebbe stato il maggior interprete del fabianesimo all’amatriciana.
Parola d’ordine: smantellare l’anima socialista della sinistra nazionale, in ossequio alla fantomatica “terza via” vagheggiata dal sociologo britannico Anthony Giddens. Teoria poi imbracciata come un’arma da Tony Blair, rottamatore del laburismo (così come il suo pallido epigono Renzi) nonché impresario della sanguinosa montatura internazionale sulle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam.
D’ALEMA E COMPAGNI
Allo stesso D’Alema fu richiesto il battesimo del fuoco, con il bombardamento della Serbia. Ieri un suo uomo di fiducia – Domenico Arcuri – sarebbe riuscito a procacciarsi mascherine e ventilatori grazie a presunti contatti di “baffino” con il colosso cinese. E oggi l’ex premier è di nuovo sotto i riflettori, stavolta per la vicenda dell’intermediazione riguardo alle navi da guerra italiane destinate alla Colombia.
Nel libro “Massoni” (Chiarelettere, 2014), Gioele Magaldi presenta D’Alema come esponente della rete massonica sovranazionale: nel suo caso, quella di segno più reazionario. Citando l’economista transalpino Alain Parguez, già vicino all’Eliseo ai tempi del primo Mitterrand, Paolo Barnard racconta che D’Alema sarebbe stato tra i discepoli di Jacques Attali, vera e propria “anima monarchica” messa alle costole del presidente socialista.
ATTALI: MASSONI NEOLIBERISTI
Secondo Parguez, proprio Attali – descritto come mentore di D’Alema – sarebbe stato il maggiore responsabile della svolta neo-conservatrice di Mitterrand. Per inciso: al supermassone Attali è attribuita anche “l’invenzione” di Emmanuel Macron, funzionario della finanza Rothschild da trasformare in una specie di salvatore della patria (o meglio, di quella Francia regolarmente spaventata da Marine Le Pen).
Una filiera tentacolare, riconoscibile per l’immutato istinto: tagliare sempre, ridurre, peggiorare le condizioni dei più. Si deve a loro l’applicazione europea della pulsione neoliberista atlantica della Scuola di Chicago, quella di Milton Friedman. La “terza via” del fabiano Giddens, appunto: privatizzare imprese e servizi, indebolire lo Stato per rafforzare il business privatistico controllato dalla grande finanza mondiale.
PRODI & DRAGHI
Gran maestri italici di quest’arte, personaggi come Romano Prodi e Mario Draghi. Dal canto suo, lo stesso D’Alema non rimase certo con le mani in mano: quand’era primo ministro – alla faccia dei suoi trascorsi “di sinistra” – si vantò di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record delle privatizzazioni, in Europa.
Filosofie di riferimento? Se si risale indietro nel tempo probabilmente si arriva al triste reverendo Thomas Robert Malthus, economista e demografo nonché pastore protestante, considerato precursore della moderna sociologia inglese. Il suo assillo: se l’economia vola, la popolazione aumenta a dismisura. Più di quanto il tessuto economico (e l’ecosistema terrestre) possano permettersi.
DA MALTHUS A GRETA: DECRESCERE
Se oggi fosse in vita, Malthus (che nel ‘700 era angosciato dal possibile impatto negativo del progresso) probabilmente non farebbe fatica ad ammettere il suo errore ottico. Ovvero: col tempo, s’è capito che il coefficiente tecnologico – che aumenta in modo esponenziale la produzione – è anche in grado, raffinandosi, di abbattere drasticamente il prelievo percentuale di risorse e l’impatto industriale sull’ambiente.
Non altrettanto sinceri sono invece i cosiddetti neo-malthusiani, i quali – oltre due secoli dopo – hanno riesumato il filosofo britannico per animare il loro pupazzetto preferito, Greta Thunberg. Dal Club di Roma in giù, tutti fedeli alla linea: dobbiamo (o meglio: “dovete”) decrescere assolutamente. Storia ritrita: se smantello lo Stato, il banco stravince. Si compra tutto in saldo e poi sarà lui a stabilire il prezzo. Fine del ceto medio, dell’ascensore sociale.
LE ORIGINI: TANGENTOPOLI
E cosa si inventano, oggi, per tenere alta la tensione in modo sleale? Elementare: il cambiamento climatico, venduto come opera esclusiva dell’uomo, avido e incorreggibile. Il nuovo orizzonte? Quello tracciato a Davos: non possederete più nulla e sarete felici (loro, invece, si riservano il diritto – feudale – di possedere letteralmente tutto). E quando cominciò, in Italia, la grande frana? Facile: con Tangentopoli.
Mani Pulite – ricorda Silvano Danesi – ebbe inizio il 17 febbraio 1992, appena due mesi dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica: tempismo spettacolare. Di colpo, l’argine anticomunista democristiano «non serviva più». Quanto al socialista Bettino Craxi, a suo carico c’era un’aggravate: «Aveva osato rivendicare un ruolo da alleato, e non da servitore, nei confronti degli Usa».
PERSEGUITATO CRAXI
Tramontato il “socialismo reale” sovietico, aggiunge l’analista di “Nuovo Giornale Nazionale”, «si trattava di eliminare il socialismo craxiano che si ispirava alla socialdemocrazia tedesca, per dare campo libero al liberalsocialismo fabiano, incarnato nel Regno Unito dal Labour Party, negli Usa dai “dem” clintoniani e in Italia dal Pds (poi Ds, Ulivo e, infine, Pd)».
Nato all’inizio del ’91 con Achille Occhetto, dal ’94 al ’98 il Pds venne guidato da D’Alema. Fu proprio il super-privatizzatore ex comunista a co-fondare l’Ulivo, dal quale sarebbe poi nato il Pd. Padre nobile dell’alleanza, Romano Prodi: «Allievo di Beniamino Andreatta, democristiano di quella sinistra che si ispirava a Giovanni Marcora e alla finanza bianca, nonché alla sinistra sociale di Vittorino Colombo». Prodi e D’Alema? Due politici cresciuti nell’alveo del progressismo fabiano.
GUERRA A BERLUSCONI
Ai governi Prodi e D’Alema-Mattarella – ricorda ancora Danesi – si oppose Berlusconi, al quale si associarono socialisti, liberali e democristiani di centrodestra. «Nei confronti di Berlusconi si sono attivate, come è noto, le forze contrarie alla presenza di qualsiasi ostacolo all’introduzione delle politiche modellate sulle idee fabiane, fino al suo allontanamento nel 2011 per rimettere il potere nelle mani di governi amici».
Chi del fabianesimo volesse farsi un’idea, oltre che “La Fabian Society e la pandemia” può leggersi – sempre di Davide Rossi – l’altrettanto brillante saggio “L’economia delle emergenze”. In effetti: quale migliore occasione del terremoto mediatico-sanitario, per dare un giro di vite (l’ennesimo) al ceto produttivo e alla sua residua libertà d’azione? Terrore, divieti, crisi economica. Ergo: insicurezza sociale e accresciuta dipendenza dagli eventuali sussidi, elargiti col contagocce dallo Stato-gendarme. Fino alla tagliola del Green Pass: il ricatto definitivo.
ORWELL: VE L’AVEVO DETTO
Sembra il gran finale a lungo sognato dalla Fabian, incarnato già nel suo logo: il lupo travestito da agnello. Per arrivare dove? Al mondo distopico di oggi, fondato sul capitalismo della sorveglianza (brevettato in Cina, ma su licenza americana). Il primo a fiutare il pericolo fu George Orwell: proprio frequentando la Fabian, vide fino a che punto si sarebbe spinta. E per avvertirci scrisse quei capolavori profetici, “1984” e “La fattoria degli animali”.
Nei suoi libri, Rossi ricostruisce l’italica rete fabiana, che in realtà è solo il terminale di un potere internazionale, a sua volta strumento di decisivi network supermassonici globali. D’Alema ha creato la Fondazione Italiani Europei, che si ispira al mondo progressista, nel cui comitato d’indirizzo è presente Speranza. Lo stesso D’Alema è stato membro della Foundation for European Progressive Studies. Un’entità finanziata dal Parlamento Europeo, che riunisce tutti i più importanti think thank “progressisti” europei.
LA LONDON SCHOOL
Tutto farebbe capo alla casa-madre, la Fabian Society, alle cui Summer Conference proprio D’Alema è intervenuto di frequente. Ha anche presieduto la Foundation for European Progressive Studies. Ed è presidente onorario di un altro think thank, denominato Silk Road Initiative, vicino al governo di Pechino (da una cui costola sarebbero venuti anche i famosi ventilatori polmonari rifilati alla Protezione Civile italiana).
Da D’Alema a Speranza, è un attimo: attuale segretario di Articolo Uno, mini-partito di sinistra sostanzialmente creato da “baffino”, l’ex Ministro del Covid ha frequentato la fabianissima Summer London School nell’estate 2005. Speranza – ci spiega Rossi – è di madre inglese. E suo cugino Ken è stato collaboratore del fabiano laburista Gordon Brown, già premier del Regno Unito dopo Blair.
BRITANNIA: E ADDIO ITALIA
Ed ecco Prodi: dopo la laurea in giurisprudenza alla Cattolica di Milano, è andato a perfezionare i suoi studi alla London School of Economics, fondata dalla Fabian: università di cui il professore bolognese è tuttora “honorary fellow”. Tra i frequentatori dell’ateneo londinese troviamo sua maestà George Soros, che ne è stato anche presidente. La stessa Ursula von der Leyen vi studiò economia nel 1978. «Un altro fabiano, Mervin King, ha fondato il Gruppo dei Trenta, nel quale è presente Mario Draghi».
Insomma, un bel ritratto di famiglia. Lo stesso club che il 2 giugno 1992 brindò sul Britannia alla fine della sovranità economica italiana: con Ciampi alla Banca d’Italia e Andreatta al Tesoro (il cui direttore generale era Draghi), mentre Mani Pulite radeva al suolo i partiti di governo e Prodi si occupava della svendita dell’Iri, poderoso motore economico del Made in Italy. Sipario: fine del Belpaese come quarta potenza industriale del pianeta.
I FABIANI SFRATTATI?
«La svolta politica dovuta alle elezioni del 2022 – sostiene Danesi – ha ricollocato l’Italia su un linea che, pur essendo fedelmente atlantista, è contraria all’agenda fabiana». Agenda che, nella sua fase finale, «è intrisa di wokismo e cancel culture, politiche green, politiche climatiche e via discorrendo». Ciliegina sulla torta: dopo le Sardine, l’epifania di Elly Schlein. Fenomenologia di una crisi d’identità che «ha prodotto nel Pd l’attuale situazione di sbandamento».
Soros, la Fabian e i signori di Davos sarebbero stati messi alla porta? «Da qui lo stridore rabbioso, il vociare e il continuo ciarlare di fascismo, di dittatura, di privazione delle libertà da parte di chi si era abituato a pensare che il potere – sempre, ovunque e in ogni caso – appartenesse al progressismo fabiano». Per Danesi, saremmo di fronte «alla messa in discussione di un sistema, di una linea politica e di un’ideologia dei lupi travestiti da agnelli».
I PROGRESSISTI, QUELLI VERI
Sarebbe anche una notizia positiva, in teoria: la fine di un’epoca basata sull’equivoco. Grande ispiratore d’oltreoceano, l’avvocato d’affari Lewis Powell. Incaricato dalla Camera di Commercio di New York. Missione: abbattere la sinistra. Come? Conquistandola alla causa, dunque spingendola a tradire i suoi elettori. Detto fatto: l’agenda neoliberista rispettò ogni tappa del Memorandum Powell, vergato nel lontano 1971.
Di mezzo, però, c’erano ostacoli impossibili da rimuovere con le buone. Per esempio, il Craxi da spedire ad Hammamet. Prima ancora, un certo Aldo Moro: da mettere a tacere per sempre. E un leader di straordinario carisma come lo svedese Olof Palme, creatore del miglior welfare europeo, assassinato a Stoccolma a metà degli anni ’80. Quella era un’epoca in cui la parola “progressista” aveva ancora il significato originario: stare dalla parte del popolo, non della finanza e delle coorti invisibili che pilotano i governi.
GIORGIO CATTANEO