Essere o non essere: il dilemma amletico sembra scuotere il cosiddetto neo-dissenso, esploso nel 2021 nelle piazze contro il Green Pass di Mario Draghi. Tuoni e fulmini, dopo le veementi proteste – per lo più via web – risuonate già l’anno prima, sotto il brutale regime varato da Conte con il lockdown e il coprifuoco.
Da allora, all’ipnosi malevola del mainstream si è come sovrapposta una contro-ipnosi, inevitabilmente nutrita di rabbia e indignazione. Scontato l’obbligo morale di condannare il governo e sottrarsi in ogni modo alle restrizioni post-democratiche. Tante voci in campo, spesso coraggiose. Su tutte, quelle dei medici controcorrente. Qualcuno, come Giuseppe De Donno, ci ha rimesso la vita.
A COME ASTENSIONISMO
Il seguito è arcinoto: le elezioni precipitosamente convocate sotto l’ombrellone, giusto per tagliare fuori i possibili outsider (fastidiosi, dunque temuti). E sul fronte opposto, a sorpresa, la martellante campagna per l’astensionismo. Fuoco amico: per punire le liste-contro, accusate di non essere state in grado di fare fronte comune.
Da allora, l’area dei dissenzienti si è frantumata. Chi si è visto “miracolato” dall’improvvisa popolarità raggiunta – sigle politiche, opinion maker, canali di informazione alternativa – non ha più mollato l’osso: forse era troppo ghiotta, l’occasione, per non provare a fare cassa in qualche modo. Magari a colpi di like, monetizzazioni e televendite (di corsi e conferenze, libri e amuleti, serate a pagamento).
LO SHOCK COLLETTIVO
Nulla di strano, anche qui: tutti fenomeni umanissimi, perfettamente speculari rispetto alle dinamiche dell’odiato mainstream. Un po’ di marketing auto-promozionale, spesso mediante un uso anche sapiente della programmazione neurolinguistica. Tecniche di persuasione, a volte anche spettacolari: mini-divismo, in qualche caso, per la gioia dei devoti.
Al netto degli aspetti spiccioli e classicamente speculativi, però, i tanti autoproclamati portavoce della “nuova resistenza” si erano ritrovati, per un attimo, dalla stessa parte. Ovvero: a tu per tu con il lato peggiore del potere, che aveva finalmente gettato la maschera, svelando anche ai meno avveduti il suo vero carattere. Uno shock collettivo, dunque. E l’unanime reazione istintiva: mai più.
TENTAZIONE ANARCHICA
Fortissima, nel 2021, la carica emotiva dei dissenzienti. Molti di loro completamente digiuni di politica. Non riuscivano a capacitarsi del fatto che il dominio fosse stato in grado di mostrare tanta efferatezza, tanto spietato cinismo. Derive letteralmente dittatoriali, sorrette dalla menzogna quotidiana dei media e dei tecno-scienziati di complemento.
Dominante, in quel frangente, un sentimento antico: quello anarchico, sia pure spacciato per novità assoluta. In altre parole: la diserzione sistemica. Fuga da tutto: dal vecchio lavoro, dalla vecchia sanità, dalla vecchia scuola. E ovviamente, dalle elezioni. La democrazia parlamentare? Un imbroglio. Tanto vale ritirarsi sull’Aventino (o magari nei boschi).
L’INFAMIA DEL POTERE
Il tema è serissimo. Durante l’emergenza sanitaria, le principali istituzioni pubbliche si sono tutte piegate all’ipocrisia imposta dai poteri superiori: vietato dire la verità, sulla vera natura della crisi ospedaliera e sul carattere manipolatorio della gestione pandemica. Silenzio-assenzio, quando non complicità attiva. Nessuno escluso: medici, giornalisti, le stesse associazioni di categoria. Allineati persino gli artisti, gli intellettuali, i cantanti. Zitti e buoni, quasi tutti.
Disgusto: ecco dove nasce il desiderio di sognare, ad occhi aperti, un mondo nuovo. Un mondo diverso, pulito e giusto. Provare a fabbricarlo, insieme, un passo alla volta? Già, ma come? E qui si esaurisce la storia collettiva della ribellione, durata lo spazio di un mattino: fine della lunga marcia vagheggiata per qualche mese. Ognuno per sé, magari alle prese con il proprio orticello, dopo essersi arenati di fronte alla più fatidica delle domande: che fare?
STORIA: I NO-GLOBAL
A cavallo del duemila, un intero popolo (soprattutto giovanile) si era mosso per un ideale, in modo disinteressato: erano i ragazzi del movimento NoGlobal, più di vent’anni fa. Lo ricorda Wayne Madsen, già funzionario della Nsa. Racconta: non a caso il G8 di Genova finì con la carneficina che sappiamo.
Forze potenti – racconta Madsen – utilizzarono l’intelligence (strategia della tensione, black bloc) per infiltrare la protesta pacifica e trasformarla in un massacro. Obiettivo, scavare la tomba del movimento stesso: di cui le grandi multinazionali, allora, avevano una gran paura. Quella contestazione civile, così colta e radicale, andava stroncata con ogni mezzo.
IL DESERTO DEL NEOLIBERISMO
Per vent’anni, da allora, il potere globale – a guida occidentale, neoliberista – ha raso al suolo tutto quello che, di sentimentale, teneva ancora insieme la società. Anche la residua fiducia nelle istituzioni, concepite come il riflesso – magari grigio, ma legittimo – di comunità nazionali ancora vive, sorrette dalla vitalità dei corpi intermedi. Cultura, sindacati, aggregati sociali.
Tutto spazzato via, a cannonate, dai terminali locali del grande potere. Le aggressioni alla scuola, al lavoro, alla sanità. La demolizione controllata dei partiti. E attorno, la cupezza della frana mondiale: guerre, terrorismo, crisi finanziaria, austerity europea. Stessa canzone: sempre meno, per tutti. Meno benessere, meno occupazione, meno diritti. E con l’operazione pandemica: meno libertà, meno democrazia. Meno sicurezza.
DELUSIONI: RENZI, GRILLO, SALVINI
L’astensionismo sistemico, la fuga dalle urne – che ha ormai assunto proporzioni inaudite, senza precedenti – può vantare ragioni solidissime. Colpo mortale, rispetto alla partecipazione politica: la drammatica delusione rappresentata dai 5 Stelle, ipotesi antisistema (solo di facciata) costruita per calamitare il dissenso, dirottarlo e renderlo innocuo.
Presso altre fasce elettorali, dinamiche analoghe – il boom improvviso, poi il crollo altrettanto vistoso e repentino – hanno interessato anche altri soggetti, da Matteo Renzi a Matteo Salvini. Speranze, entusiasmi: spettacolo che dura qualche mese. Poi, il tramonto. Al che, il mainstream manda in scena il performer successivo.
ORA TOCCA ALLA MELONI
Ultima della fila, Giorgia Meloni. Un suo grande elettore, l’avvocato Carlo Taormina, certifica la sua cocente delusione: la leader di Fratelli d’Italia è già riuscita a fare retromarcia su tutta la linea. Sembra essersi specializzata in genuflessioni, a tempo di record: abbraccia Zelensky, s’inchina a Biden, si piega ai signori di Bruxelles.
Ovvia, la reazione dell’astensionista: tutto come previsto, pensa. E se questo vale per i partiti ufficiali, storicamente insediati in Parlamento, perché mai non dovrebbe valere anche per chi si candida a far nascere un’opposizione seria? Prima o poi, tutti finiscono nello stesso modo: si tengono stretta la loro poltrona, rassegnandosi a obbedire alle direttive che cadono dall’alto.
DISGUSTATI DALLA POLITICA
L’annichilimento funzionale della politica è esattamente il cuore dello show al quale stiamo assistendo, con esiti sempre più sinistri: la progressiva sparizione dei diritti, verso un orizzonte distopico (transumano, lo chiama qualcuno) accelerato dall’agenda incalzante delle emergenze mediatiche, come oggi quella climatica.
E dunque, appunto: che fare? Essere o non essere dissenso? O meglio: si può ancora scommettere su un dissenso disciplinato e rappresentativo, anche parlamentare, o invece (come molti pensano) tanto vale arrendersi al declino definitivo della civiltà politica, rinunciando alla competizione per la governance a inventandosi nuove forme di resistenza, personale e sociale, lontano dai palazzi e dalle urne?
IL PESO DELLE EMOZIONI
Pesa moltissimo, in questo frangente, l’aspetto anche sentimentale: giustamente sottolineato, nel 2021, da tanti influencer. Proprio la delusione può essere un potente motore creativo, per dare vita a nuove esperienze collettive. E chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la politica sa benissimo che la componente emotiva serve a rendere più visibile e convincente lo stesso fondamento razionale.
Quasi tutti i maggiori leader del passato sono stati anche grandi oratori, capaci di essere coinvolgenti e trascinanti. La differenza, rispetto ai mini-leader di oggi: disponevano di un solido retroterra culturale. E i loro erano veri programmi: nella loro proposta c’era sempre una proiezione, una precisa visione del futuro.
PROMESSE SEMPRE TRADITE
Oggi, purtroppo, il teatrino del potere accelera regolarmente il turnover delle comparse: durano pochissimo, i leader, perché la loro consistenza è scarsa. Sono abili, al massimo, nel fare occasionalmente il pieno di voti. Poi però soccombono: non riescono a mantenere le promesse (non vogliono, non possono). E vanno incontro all’inevitabile, fulmineo tramonto.
Schema ben chiaro all’astensionista scettico: non intende più prestarsi al gioco, con il proprio voto. Di più: dopo gli ultimi agguati governativi – le folli restrizioni, i ricatti, le imposizioni che poi tendono a diventare permanenti – non vuole più nemmeno rischiare di essere considerato “complice del sistema”, anche solo in quanto semplice elettore. Il suo è un non-voto di sfiducia categorico, morale, forse non recuperabile.
L’ANIMA DEL DISSENSO
Il limite, di questa posizione sofferta? Il suo carattere perdente: non è sul tappeto alcuna alternativa antisistema. Non si vedono profili politici “altri”, fuori dalla competizione elettorale, in grado di costruire alcunché. Ed è un problema, perdurando l’attuale assetto giuridico e statuale, basato proprio sulla sopravvivenza della funzione pubblica come regolatrice (almeno formale) di una governance che in realtà sappiamo essere largamente privatizzata.
Il termine “dissenso”, poi, può essere inteso in modo vasto e variegato. Può esprimere dissenso una singola associazione, una libera comunità di individui, persino l’autore di un’opera d’arte (un libro, un canzone). La stessa informazione indipendente alimenta un dissenso spesso intelligente, prezioso, puntuale. Un dissenso culturale, ben argomentato.
SABOTARE IL REFERENDUM
Proprio il terribile rigore dell’ultimo triennio, infatti, ha fatto crescere molto il volume di svariate fonti, specie sui social, in termini di denuncia. Testimonianze importanti: un lavoro anche coraggioso, oltre che impegnativo e faticoso. Certo, fatalmente imperfetto: stupisce il sostanziale silenzio, da parte di tanti canali YouTube, sul referendum “Ripudia la guerra”: silenzio che, di fatto, ha contribuito al fallimento della raccolta delle firme.
Eppure, quegli stessi canali erano e restano in prima linea, nel denunciare l’unilaterismo Nato nella crisi ucraina. Incongruenze, quindi, che – ancora una volta – dimostrano quanto sia fragile e frammentato, il nuovo dissenso italico. Si inceppa, non appena lo si mette di fronte a un’opzione finalmente politica.
ERRORE, FERMARSI AL 2020
Se l’emergenza civile inaugurata nel 2020 ha sicuramente contribuito a moltiplicare le voci di protesta, al tempo stesso potrebbe anche aver ingenerato un equivoco. O almeno un appiattimento cognitivo, anche per via dell’emotività drammatica del momento: la sensazione cioè che le ragioni del dissenso si potessero esaurire nell’opposizione alla sola gestione pandemica.
Senz’altro, tre anni fa la popolazione (tutta quanta, simultaneamente) è stata messa di fronte a un drastico salto di livello. Ma non è che vivessimo nel migliore dei mondi possibili, quando nel 2001 si poteva finire a Bolzaneto, torturati per ore, o massacrati alla scuola Diaz. O peggio ancora, disintegrati nell’esplosione delle Torri Gemelle.
COMBATTENTI VERI
Le liste elettorali dello scorso 25 settembre, riguardo al “fronte del dissenso”, erano gremite di voci e volti largamente rappresentativi dell’ultima stagione di proteste. Al massimo, erano presenti alcuni reduci del grillismo, fuoriusciti dai gruppi parlamentari del prode Di Maio. Poi c’erano altri personaggi: non esattamente di primo pelo.
Enzo Pennetta, per dire – il promotore del referendum contro la guerra – era in compagnia di lottatori di lungo corso, del calibro di Fulvio Grimaldi e tanti altri. Legame comune: il chilometraggio, percorso dalla parte scomoda della storia. Combattenti non da oggi in prima linea, nello smascherare le filiere del potere più perverso.
CULTURA: L’ARMA DECISIVA
Che cosa li caratterizza, oltre al coraggio? Sintetizzando: la cultura. Carburante imprescindibile: cultura storica, cultura giornalistica, cultura politica. Consapevolezza sociologica ed economica, capacità di leggere il periodo. Abilità nell’individuare le cause delle varie crisi, il cuore nero delle dinamiche che oggi scuotono tutti, ma che ieri – con pari perfidia – si accanivano con i derelitti di tutto il pianeta, italiani inclusi.
Non è mai facile, organizzare risposte. Oggi, poi, la situazione è inedita: l’establishment occidentale ha superato ogni limite. E il dissenso – che nel 2021 si era improvvisamente manifestato e gonfiato – già l’anno seguente aveva smesso di riempire le piazze: anche se a dominare la scena era la più disonesta di tutte le guerre.
FUGGIRE O RESTARE
Essere o non essere, dunque? La domanda resta sospesa. Da un lato, la faticosa costruzione di una possibilità politica: in grado almeno di testimoniare, a livello istituzionale, una rottura radicale rispetto al mainstream. E dall’altro, l’amletico dissenso trasversale: sentimentalmente motivato, ma ancora passivo sul piano politico.
Sembra di essere di fronte a una vera e propria impasse: una situazione di stallo, destinata a non sbloccarsi tanto presto. Ciascuno accampa le proprie legittime ragioni. E le ultime delusioni – davvero brucianti – non fanno che alimentare lo scoraggiamento, la sfiducia, lo scetticismo elettorale (più che motivato, osservando il Parlamento attuale).
Che cosa aspettarsi, quindi? Escludendo i giochi di prestigio (abbiamo già dato) può essere sicuramente utile la possibile, progressiva declinazione – anche politica – di una nuova visione del mondo. Solidamente radicata sul piano culturale. E capace, all’occorrenza, di esprimersi anche attraverso l’ironia e persino il linguaggio dell’arte. Cioè l’intelligenza emotiva, imprescindibile nutrimento: sperimentato in ogni epoca, persino nel terribile 2021.
GIORGIO CATTANEO