
E se lo smart working fosse una scusa per tenere tutti sotto controllo? Agghiacciante quanto verosimile ipotesi
La pandemia da covid ha trasferito ad una generazione di lavoratori false idee e convinzioni su lavoro, produzione ed etica del lavoro, al punto che potrebbe addirittura passare un decennio o più prima che le persone tornino finalmente a vivere (e lavorare) nella realtà e smettendo di vivere nella fantasia.
Una questione importante, tra gli altri, è il vero e proprioi movimento che si é sviluppato contro il lavoro, il quale essenzialmente sostiene che ogni lavoro non qualificato dovrebbe essere pagato con un salario di sussistenza o che tali lavoratori dovrebbero essere assorbiti dal welfare del governo.
Questo altro non é che il primo passo verso l’Universal Basic Income (UBI), il che, tradotto in parole povere, significa che milioni di persone in questo modo dipenderebbero dal governo, e il mantenimento di questo rapporto diventerebbe una vera e propria questione di sopravvivenza per gli individui.
Non ci si può ribellare ad un governo per quanto corrotto sia, quando dipendi da loro per nutrire te e la tua famiglia.
I bonus covid hanno abituato la gente ad un qualcosa di simile all’UBI (per non parlare delle moratorie sugli affitti) e molti di loro ora hanno sviluppato una vera e propria dipendenza a vivere sulle spalle del governo. Un gran numero di americani ed europei pensa che così dovrebbe essere per sempre, ma niente è gratis, gente.
Tutto ha un costo, tutto ha conseguenze.
Un altro serio problema è la crescita del “movimento dello smart working“. Certamente, ci sono molti lavori tecnologici, lavori multimediali e lavori di analisi dei dati che possono essere svolti da casa e forse sono fatti meglio fuori da un ufficio piuttosto che seduti ad una scrivania. I vantaggi sono sostanziali, con traffico ridotto nei principali centri abitati, sollievo psicologico dall’ambiente spesso soffocante dell’ufficio e produttività lavorativa potenzialmente migliorata. Le aziende pagano anche per meno spazi per uffici e meno forniture. Sembra una vittoria per tutti.
Tuttavia, questo fa parte di un’agenda che cerca di sfruttare la dinamica del lavoro da casa e trasformarla in qualcosa di tutt’altro che conveniente ed attraente. Con la scusa dello smart working si é infatti creata una tendenza crescente di sorveglianza aziendale dei dipendenti mentre si trovano all’interno delle proprie abitazioni.
Otto su dieci dei maggiori datori di lavoro negli Stati Uniti tengono già traccia delle metriche di produttività sul posto di lavoro. Ciò significa monitorare il software sul computer di lavoro, avere telecamere di sorveglianza, avere il riconoscimento facciale, il riconoscimento dell’umore, i record di battiture e persino app di localizzazione del telefono cellulare con software che registri i movimenti GPS. L’argomento a favore di questo tipo di occhio onniveggente orwelliano è: “Non sei obbligato a lavorare qui se non vuoi, puoi sempre smettere”.
Questa è una risposta progettata per aggirare una qualsiasi discussione sulla natura assolutamente non etica del monitoraggio dei dipendenti in smart working ad un livello così estremo. E’ vero che le persone vengono pagate, ma allo stesso tempo trattate come proprietà privata delle aziende, trattate come schiave senza privacy. E se ogni singolo datore di lavoro utilizzasse la sorveglianza sui dipendenti che succederebbe? E se non ci sono opzioni diverse da questa? Potresti smettere, é vero, ma riuscirai mai a trovare un ambiente di lavoro che non ti tratti così?
Questo tipo di intrusione estremamente pervasiva è esattamente ciò che l’agenda dello smartworking sta realizzando nella vita quotidiana dei lavoratori coinvolti in questa realtà, poiché sempre più aziende richiedono che i dipendenti consentano la sorveglianza tecnologica sui computer di casa, sui telefoni cellulari, e persino che le stesse aziende possano installare la videosorveglianza nelle case dei lavoratori.
Un documento di ricerca recentemente pubblicato dal SAGE Journal of Management suggerisce che il monitoraggio dei dipendenti non porta a una maggiore produttività; piuttosto, porta al contrario. I partecipanti agli esperimenti sui lavoratori sono risultati meno produttivi e più propensi a infrangere le regole se sanno di essere osservati. Il documento afferma che la sorveglianza toglie il senso di responsabilità personale che si richiede ai lavoratori affinché siano coinvolti nel proprio lavoro.
Si potrebbe obiettare che il calo della produttività negli esperimenti è dovuto al fatto che non fosse presente la minaccia di conseguenze reali, come ad esempio il licenziamento. C’è una certa legittimità in questo.
In un mondo in cui chiunque ora può essere licenziato dal proprio lavoro e perdere il proprio sostentamento per un semplice commento disinvolto sui social media, figuriamoci cosa accadrebbe se lo stesso tipo di conseguenze si estendesse in seguito alle discussioni che avvengono nelle nostre case.
E se la sorveglianza del lavoro non riguardasse solo la “produttività” dei lavoratori, ma anche il controllo del comportamento e degli ideali dei dipendenti? Questo è esattamente dove ci stiamo dirigendo; un futuro in cui ciò che dici nel comfort del tuo soggiorno viene sezionato ed esaminato per valutare se é in accordo o meno con ciò che é permesso dire. E cosa diviene sbagliato? Qualsiasi cosa venga definita tale dalle persone al potere.
Una persona che critica la natura stessa della sorveglianza aziendale potrebbe un giorno essere licenziata perché ha espresso un pensiero non conforme.
Ci sono scelte diverse che si possono ancora fare. La più ovvia è il lavoro autonomo e l’avvio di un’attività in proprio. Ma poiché l’economia continua ad andare sempre peggio, avviare un’attività in proprio sarà sempre più difficile. Si potrebbe semplicemente pensare di uscire completamente dalla rete e cercare di produrre il necessario per se stessi, e questo pare davvero essere ciò di cui abbiamo bisogno piuttosto che del movimento dello smart working, ma ci vorranno grandi comunità di persone che escono dal sistema per far sì che si noti una differenza.
In definitiva, l’intera base per la sorveglianza dei lavoratori é costruita su un errore. La maggior parte dei lavori che possono essere eseguiti a casa non vengono pagati a ore. Un lavoro intenso non equivale alla produttività di quel lavoratore. Se un dipendente sta facendo il proprio lavoro, il capo lo saprà perché quel dipendente consegnerà il lavoro finito.
Le aziende quindi non hanno bisogno di monitorare i dipendenti, devono solo monitorare i RISULTATI. Se un lavoratore è solido, avrà ottimi risultati e una lunga lista di progetti finiti. Se un lavoratore è pigro, non avrà risultati da mostrare. La cosa é di una semplicità disarmante.
Allora perché questa massiccia invasione della privacy? Forse non si tratta affatto di produttività. Forse si tratta di acclimatare il pubblico attraverso il proprio lavoro ad essere sorvegliato 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e accettare che questa sia la nuova normalità.
Di TYLER DURDEN, traduzione di MARTINA GIUNTOLI