Che attinenza potrebbe mai avere, il Partigiano Johnny, con i burocrati ministeriali coordinati da Roberto Speranza? Come avrebbe reagito, il partigiano Giorgio Bocca, di fronte ai proclami notturni di Giuseppe Conte che mettevano fine alle libertà fondamentali? E cosa avrebbe detto, Primo Levi, della selvaggia discriminazione introdotta con il Green Pass?

Nella sua perfidia, sembra che il tempo – per compiere i suoi ultimi orrori – abbia pazientemente atteso l’estinzione dei testimoni scomodi e autorevoli. Celebrando l’anniversario della Liberazione in una valle piemontese, l’ex banchiere Nerio Nesi ricordava commosso la sparizione improvvisa di un suo compagno di scuola, tanti anni prima: di colpo, gli studenti avevano scoperto la sua identità ebraica, dunque la sua abominevole condanna.

Chissà che effetto avrebbe fatto, ai veterani che vent’anni fa ascoltavano Nerio Nesi, lo spettacolo offerto il 25 aprile del 2020: Bella Ciao intonata dai balconi, da parte di una popolazione giuliva e reclusa, agli arresti domiciliari. “Io resto a casa”, ripetevano milioni di italiani, mentre ai medici veniva letteralmente impedito di eseguire autopsie e assistere gli infermi con terapie precoci.

REVELLI: DISOBBEDITE SEMPRE

In una delle sue ultime uscite pubbliche, l’anziano Nuto Revelli rivolse un appello, ai giovani che aveva di fronte: un invito che aveva il valore di un testamento. Cercate di dare fastidio, cari ragazzi: provate a dare fastidio sempre, disse. Perché questo mondo balordo vi vuole disciplinati e obbedienti come pecore. E si sa dove finiscono, le pecore.

Una storia esemplare, quella di Nuto: descritta in modo magistrale nel libro-capolavoro “La guerra dei poveri”. Lui, giovane fascista cuneese. Ufficiale di carriera, tenente degli alpini, volontario in Russia. L’ultimo uomo, dell’infinita colonna protetta dalla divisione Tridentina, a lasciare il Don all’inizio della catastrofica ritirata.

La metamorfosi di Revelli era iniziata proprio là. Ferito e ricoverato, si era accorto della frode: i viveri non sempre arrivavano, in linea, perché nelle retrovie ingrassavano un traffico indecente. La rabbia: i soldati al gelo in trincea, col cibo razionato, grazie al ladrocinio sistematico organizzato dai raccomandati, i colonnelli imboscati molto lontano dalla zona pericolo.

DEMOCRAZIA E SANGUE

La crisi di coscienza, nel giovane tenente Revelli, era iniziata ancora prima, durante il viaggio verso l’inferno bianco. Nella Polonia occupata dai nazisti, gli alpini avevano visto bambini scheletrici, con al braccio la Stella di David, costretti a spazzare i binari. Sembravano passeri – scrive Nuto – a cui avessero spezzato le ali.

Resistenza, ribellione. Furore e disperazione: aprirsi la strada del ritorno sparando, come fecero i battaglioni della Tridentina ancora in grado di combattere (il Tirano e l’Edolo) ma già sapendo una cosa terribile, imparata sul campo. Loro, intrappolati in una guerra insensata, avevano torto: perché erano stati gli invasori. La ragione stava tutta dalla parte dei russi.

La Resistenza di Nuto Revelli cominciò a Udine, nel campo di raccolta dei reduci: si spedì a casa i mitra che aveva con sé, immaginando che di lì a poco gli sarebbero serviti. La sua guerra sarebbe poi proseguita in Francia, partecipando alla liberazione della Provenza, in virtù di un altro dono insanguinato della storia: la democrazia.

IL 25 APRILE DEGLI IPOCRITI

Sganciatisi in alta montagna dopo aver rallentato e fermato una divisione corazzata nazista, gli uomini si contarono e stabilirono il da farsi. Andiamo verso il Tenda e la Liguria, propose il comandante. Ma i suoi partigiani non volevano: preferivano svalicare in territorio francese. Votarono, per alzata di mano: era vent’anni che non succedeva più. E il comandante, Nuto Revelli, dovette arrendersi.

Oggi continuiamo a celebrare il 25 aprile come se non fosse accaduto nulla di speciale, a partire dal 2020. E l’Italia – un’altra volta – sta partecipando a un’azione militare, sul territorio già sovietico, contro gli eredi della leggendaria Armata Rossa: quella che poi liberò i prigionieri di Auschwitz e degli altri lager di sterminio.

NAZISTI IN UCRAINA

Come allora, il nostro paese è sottoposto a un potere imperiale superiore. E stavolta supporta un regime opaco e golpista, una “democratura” che a Kiev ha messo fuorilegge l’opposizione e ha scatenato i suoi squadroni della morte. Le svastiche riproposte in modo sfrontato, il criminale nazista Stepan Bandera promosso eroe nazionale. I manifestanti di Odessa bruciati vivi. E i civili del Donbass presi a cannonate per otto anni, le loro case bombardate.

Tutte queste cose si possono far digerire meglio, con meno fastidi, senza più avere l’ingombro della presenza domestica di intellettuali come Primo Levi e Giorgio Bocca, come Beppe Fenoglio, come Nuto Revelli. Riesce meglio, il piccolo capolavoro del male, se le redazioni sono occupate militarmente dal potere unico atlantista, specializzato in macellerie sotto falsa bandiera.

GLI ORRORI DEL REGIME COVID

Date fastidio, raccomandava il vecchio Nuto ai ragazzi. Ribellatevi, disobbedite. Un appello eternamente valido. C’è infatti un’altra data, che andrebbe tenuta a mente per sempre: 15 ottobre 2021. L’entrata in vigore dell’osceno lasciapassare obbligatorio. Varato da Mario Draghi e dal suo Governo dei Migliori, quello che testava il “moto ondulatorio” dei blindati e cacciava dalla polizia Nunzia Alessandra Schilirò, vicequestore di Roma.

Ribellarsi al sopruso. Disobbedire, resistere: “Nandra” Schilirò lo fece, pagandone il prezzo per intero. Lo fece anche Stefano Puzzer, spazzato via con gli idranti dal molo di Trieste. L’aveva fatto, a modo suo, pure il dottor Giuseppe De Donno: il primo medico, al mondo, ad aver trovato una cura efficace al 100% contro il terribile, incurabile Covid.

Ecco perché suona così stonato e indigesto, oggi, il tripudio tricolore dei tromboni che vorrebbero impartire lezioncine di storia. In che modo, nel momento della verità, hanno affrontato la prova onorando la memoria degli antichi combattenti per la libertà? Silenzio assoluto, di fronte al manganello mediatico e all’olio di ricino ministeriale: fino al parossismo della più feroce discriminazione, a colpi di decreti emanati col favore delle tenebre.

IN SILENZIO DI FRONTE ALL’ABUSO

Silenzio di tomba, di fronte allo scempio. Organizzato in modo spietato per isolare e colpire i disertori, denunciarli e lasciarli senza lavoro. Cacciarli dalle scuole, farli scendere dai bus e dai treni, buttarli fuori da bar e ristoranti, persino dagli uffici postali. E lasciando che gli anziani ricoverati restassero soli, anche nell’ora estrema, senza il conforto umano dei familiari. Massima infamia, questa: incommentabile.

Sicché, prima di celebrare giustamente la Resistenza altrui, forse sarebbe il caso di verificare la propria: giusto per evitare di sporcare con l’ipocrisia quello che abbiamo di più sacro, cioè il doloroso sacrificio di chi seppe affrontare anche il martirio. Immortale il monito di Primo Levi, quando descrive l’impiccagione di un ribelle. Io sono l’Ultimo, gridò, prima di essere giustiziato dai boia. E noi prigionieri, rimasti inerti – aggiunge il grande scrittore – fummo sommersi dalla vergogna.

GIORGIO CATTANEO

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