Quando un sistema di potere impedisce sistematicamente l’espressione di una idea alternativa si verifica un fenomeno definibile come “magnetismo di minoranza”, ovverosia certe posizioni acquisiscono consenso solo in quanto proibite (il classico “fascino del proibito”). Non si aderisce a una idea perché razionalmente la si ritiene valida, ma solamente perché essa è infrequentabile.
Quando avviene ciò, molto spesso la possibilità di elaborare in termini mediati ed analitici, per quanto radicali, un pensiero dissidente, viene soppiantato da un sottobosco di figure improbabili che intendono rappresentare quella area di alternativa, puntando proprio sulla adesione emotiva delle persone, con largo utilizzo di slogan, semplificazioni e falsità conclamate. Il principio è che, di fronte ad una polarizzazione totale, vince la semplificazione.
La cosiddetta “area della resistenza”, in qualche modo forgiata dal fuoco di fila da parte del mainstream, è un perfetto caso di studio per questa dinamica. E il fenomeno descritto ha già prodotto sin troppi danni. Talmente tanti che l’unica operazione di unità ora possibile, anche a livello di elaborazione culturale, non può prescindere da una parallela definizione del perimetro in cui si intende operare. Cosa è per noi il dissenso? In che maniera intendiamo interpretarlo? Con quale linguaggio?
Per dare un input iniziale vorrei cogliere l’occasione per indicare alcuni temi di riflessione che possono essere determinanti nella costituzione di un laboratorio di pensiero affinato e coerente:
1) autorevolezza versus autorità: opporsi alla cultura dominante e alle istituzioni tradizionali, come il governo, l’esercito, le grandi aziende e l’autorità in generale. Riappropriarsi di una idea di autorevolezza contro una società intrinsecamente corrotta;
2) individuo versus individualismo: enfatizzare l’importanza dell’individuo come unità prima di una comunità rinnovata. Promuovere l’autenticità personale attraverso l’esplorazione di sé stessi, la libertà di espressione e l’autodeterminazione;
3) rispetto versus tolleranza: in latino tolerare significa sopportare. Una cultura della cooperazione è basata sul reciproco rispetto e non su una astratta tolleranza, figlia di un ancor più astratto universalismo;
4) sperimentazione culturale: abbracciare una vasta gamma di espressioni culturali non convenzionali. La musica, l’arte, il cinema e la letteratura da utilizzare per sfidare le norme sociali esistenti e per creare un senso di comunità tra gli aderenti;
5) ecosofia versus ambientalismo: promuovere uno stile di vita back-to-the-land che denunci l’ipersviluppismo della metropoli come forma di controllo sull’individuo. Rifiuto totale della cosiddetta economia green, nata esclusivamente per creare nuovi target di mercato.
Ritengo che temi come questi dovranno fare da ossatura alla riflessione che sta iniziando a mettere in atto la rivista Visione.
Se riusciremo a farlo avremo messo un argine definitivo ad una produzione culturale sin troppo caotica ed improvvisata.
ANTONELLO CRESTI
Vicesegretario nazionale Ancora Italia Sovrana Popolare (AISP)
Redazione di Visione