«Controllate pure tutti gli indicatori: la Russia di oggi, decisamente in risalita su molti fronti, non ha ancora recuperato gli standard di benessere del 1990». All’epoca, in Occidente, i media raccontavano che la popolazione sovietica fosse allo stremo, non avendo retto i costi della guerra fredda? «Ebbene: era tutto falso. Inventato, come tante altre favole di oggi».
Se il mondo ti prende in giro e ti spiega che devi tremare di paura (per il debito pubblico, il terrorismo islamico, la terribile pandemia e il terribile Putin, ora persino il terribile caldo che per colpa nostra starebbe minacciando la Terra) forse è il caso di dare ascolto a voci dissonanti, decisamente fuori dal coro.
NEL 1990, I RUSSI STAVANO MEGLIO
Una di queste è quella di Dmitry Koreshkov, imprenditore moscovita trapiantatosi sul Garda. Laureato in economia, dopo il liceo internazionale a Mosca. Figlio di un alto ufficiale dell’Armata Rossa. E grande appassionato di storia patria. Non idolatra Putin: lo rispetta. E spiega: neppure lui si è ancora liberato dei tentacoli che stringono la Russia, da troppo tempo.
L’odierna economia russa sarebbe ancora inferiore a quella dell’epoca sovietica? «Esatto: basta verificare qualsiasi parametro. Ossia: il bilancio del 2023 non regge, rispetto a quello dell’ultimo anno dell’Urss». Affermazione che può apparire sorprendente? Senz’altro. Per contro: c’è qualcosa che non sia addirittura surreale, di quanto il mainstream media ci va raccontando?
DIETRO L’APPARENZA
A partire dall’intervento russo nel Donbass, Koreshkov è divenuto un volto noto, in Italia, almeno nel circuito dell’informazione indipendente. Consultato spesso dal canale “Border Nights”, per commentare l’attualità. È stato tra i primissimi a fiutare la reale consistenza della rivolta – solo teatrale – inscenata dalla Wagner lo scorso 24 giugno (celebre ricorrenza massonica: San Giovanni Battista, che simboleggerebbe un possibile “nuovo inizio”).
In questi mesi, mentre in Italia si arrivava a vietare Dostoevskij all’università in ossequio alla demonizzazione del mondo russo, Koreshkov ha fatto del suo meglio per illuminare alcuni decisivi retroscena, che alimentano gli eventi sulle rive della Moscova. E non da oggi: da sempre, il mondo russo – spiega – è terra di conquista, da parte di poteri temibili.
L’IMPERO KAZARO
Un capitolo sempre scomodo da trattare – sostiene l’analista – riguarda il travagliatissimo rapporto con l’ebraismo. Risale in epoca medievale all’Impero Kazaro, convertitosi di colpo alla religione mosaica. Perché i russi non vollero anch’essi aderire all’ebraismo? Il principe di Kiev – si racconta – avrebbe declinato l’offerta kazara con questa motivazione: non intendeva sposare una religione senza patria (ovvero: senza un clero che avesse il pieno controllo di un preciso territorio).
Suggestione storica: l’intera leadership mondiale, oggi, è sostanzialmente apolide. Soprattutto quella occidentale. Non è figlio di nessuna nazione il famigerato capitalismo finanziario, promotore del neoliberismo che ha assoggettato o almeno contaminato il pianeta, inclusa la Cina contemporanea. E prima ancora, naturalmente, la Russia.
EBREI E RUSSI, ANNI DIFFICILI
È notorio che i rapporti tra zarismo e comunità ebraica (a lungo confinata nell’attuale Ucraina) non siano mai stati idilliaci. Pagine dolorose, che parlano di una convivenza problematica. Da una parte una popolazione di contadini, dall’altra una minoranza di commercianti: gelosi delle proprie prerogative culturali e poco propensi a fondersi con i russi.
Una vicenda controversa e costellata di tragedie: dai pogrom all’olocausto nazista della Shoah, fino alla liberazione dei prigionieri dei lager da parte dei soldati sovietici. E poi, naturalmente, il ruolo di Stalin: grande sostenitore della nascita, in Palestina, dello Stato di Israele.
STORIA PARALLELA: ANDROPOV
Del network costituito dall’élite ebraica – dice Koreshkov – si parla sempre pochissimo. Eppure, aggiunge, se un giorno (come tutti speriamo) si arriverà alla pace nel Donbass, nell’operazione avrà certamente un ruolo fondamentale la sapiente diplomazia ebraica, attraverso una rete di soggetti tuttora presenti nei posti chiave: da Mosca a Kiev, da Tel Aviv a Washington.
Soggetti come quelli – aggiunge Koreshkov – hanno avuto un ruolo spesso determinante, anche se invisibile, nella storia russa. Uno su tutti: l’ebreo Yurij Andropov, mitico capo del Kgb. In apparenza: un duro irriducibile, arcigna maschera del potere dei Soviet. Nella realtà: un abilissimo uomo di relazioni, capace di costruire solidi legami (sotterranei) con l’Occidente, ai tempi della Cortina di Ferro.
ASSIMILARE L’URSS
Come dire: esisteva, già allora, un progetto preciso. Obiettivo non dichiarato: assimilare l’Unione Sovietica, fino ad assorbirla nel sistema euro-atlantico. Oggi ne parlano – documenti alla mano – svariati storici russi contemporanei. In fondo, non deve stupire più di tanto: potenti spinte, da sempre, tendono a unire universi lontani. Specie se ad agire è una componente cosmopolita, erratica, onnipresente.
Peraltro, proprio la diaspora ha storicamente prodotto risultati clamorosi. Non c’è bisogno di citare Einstein, per parlare di un certo genio nomade. Così come è superfluo ricordare la struggente grandezza artistica attraverso cui si è espressa anche l’anima ebraica, dal Giobbe di Joseph Roth alle tele alate dell’immenso, poetico Moishe Segal (in arte, Marc Chagall).
PIEGARE LA RUSSIA
È di tutt’altro, però, che parla Koreshkov: trame invisibili, élite di potere. La loro peculiarità? Essere sistematicamente trasversali, sovranazionali. Caratteristica inconfondibile, che poi ha permeato lo stesso “pilota invisibile” del modello neoliberale fondato sul dollaro. Si tende sempre ad additare il mondo anglosassone, in particolare l’imperialismo yankee. E probabilmente si scatta una foto imprecisa, sfocata.
Su un aspetto, in particolare, si sofferma l’analisi di Koreshkov: l’accanimento secolare contro la Russia come sistema, come nazione. Un paese profondamente diverso. Ieri in ritardo, rispetto all’appuntamento con la modernità. E oggi diffidente e refrattario, di fronte all’ambigua post-modernità. E quindi maltrattato, diffamato e insidiato da un’oligarchia che magari utilizza la potenza americana, oltre che l’intelligence britannica, ma risponde a logiche che non hanno veri legami con nessuna bandiera nazionale.
IL CASO TROCKIJ
Paradigmatica la vicenda di Trockij, raffinato intellettuale ebraico (Lev Davidovič Bronštejn). Braccio destro di Lenin, poi esiliato e infine fatto assassinare barbaramente da Stalin. Era il teorico della rivoluzione permanente: un contagio destinato a travolgere qualsiasi confine nazionale. Ora siamo arrivati al globalismo universale: opposti estremisti, che alla fine coincidono?
Osserva Koreshkov: sul piano della proiezione geopolitica (il risultato atteso, unificante) il trockismo sembra precorrere – sia pure in modo anticapitalistico – le ambizioni dell’ideologia mondialista del turbo-capitalismo odierno. «Ruolo chiave, ieri come oggi, quello della propaganda. E i grandi media globali fanno capo ad appena sei famiglie, tutte accomunate dalla medesima provenienza».
INFILTRAZIONI INSIDIOSE
Sono loro – sempre loro – a spiegarci che gli americani-ucraini sono buoni, mentre i russi sono cattivissimi. E poi: chi ha raccontato che la Cia non sapeva nulla, dell’attentato alle Torri Gemelle? Chi ha creato il fantasma dello spread, il terrore dell’Isis, il panico incarnato dal morbo incurabile di Wuhan? Chi oggi ci spaventa straparlando del clima impazzito a causa dell’incoscienza umana?
Lo stesso tipo di propaganda bellicista, secondo Dmitry Koreshkov, ha regolarmente bersagliato il mondo sovietico e poi russo. Che – attenzione – non è mai stato monolitico, come i media occidentali l’hanno sempre dipinto. Era anzi affollato di quinte colonne straniere, tuttora presenti, pronte ad agire al momento opportuno.
NEMICI INTERNI: AL CREMLINO
Paranoie? Tutt’altro. E vale in fondo per ogni sistema nazionale. Più che le bandiere, ormai contano i circoli riservati: capaci di condizionare qualsiasi governo. Si tende ancora a semplificare: “La Cina, la Russia, gli Stati Uniti, l’Europa”. In realtà: a pesare sono lobby sovranazionali, sotterranee e con in tasca tanti passaporti.
Una logica alla quale non sfugge neppure Mosca: l’autocrate ora dipinto come Zar dispone senz’altro di molto potere, ma non è certo un uomo solo al comando. Anzi: deve fare i conti con una pletora di ministri insospettabilmente amici di Londra e di Washington. Grand commis di Stato, colossi industriali, influenti banchieri. Lucrosi affari e reciproche convenienze: dietro la retorica, ipocrisie e opportunismi.
DUGIN: ROMPERE CON L’OCCIDENTE
«Persino Gennadij Zyuganov, che ormai da decenni – come capo dei comunisti russi – incarna una certa nostalgia popolare (non certo irragionevole) per i tempi dell’Unione Sovietica, nella realtà è saldamente radicato, anche lui, nel sistema attuale: che è fatto di rapporti molto solidi con l’establishment occidentale».
Giochi di specchi, ancora e sempre. E forse, con una vittima regolarmente predestinata: il cittadino russo. «Non amo particolarmente il tradizionalismo a cui si richiama il filosofo Alexandr Dugin, ma su una cosa ha ragione: scommette che Putin non avrà mai il coraggio di rompere del tutto con l’Occidente. Scelta che lascerà al suo successore».
NOSTALGIA DELL’URSS
Putin ambiguo? Inevitabilmente: ha ereditato una situazione disastrosa, con il Cremlino trasformato in una specie di succursale americana. Sotto questo aspetto – dice Koreshkov – l’attuale presidente va preso quasi come un dono del cielo: ha comunque messo fine al regime di totale sudditanza atlantica, che aveva pressoché annientato la Russia.
Alla base – anche in quel caso – c’era una colossale fandonia: i nostri media raccontavano che i sovietici non vedevano l’ora di diventare americani, o almeno inglesi. «Peccato che, nel referendum indetto nel 1991, oltre il 70% dei votanti rispose in modo netto: non volevano assolutamente rinunciare all’Unione Sovietica».
GORBACIOV, CAVALLO DI TROIA?
«Vero: sognavano un paese più aperto e libero. Ma senza per forza abbandonare la cornice dell’Urss». Bel guaio, dice Koreshkov, perché il potere che supportava Gorbaciov (già pupillo di Andropov) aveva esattamente quell’obiettivo: smantellare l’Unione Sovietica. «Così, si rimediò pochi mesi dopo: organizzando il finto golpe della nomenklatura targata Pcus».
«Furono incolpati vecchi burocrati, dipinti come nostalgici dell’Urss. Risultato: la fine effettiva dell’Unione Sovietica, per mano – come previsto – del successore di Gorbaciov, Boris Eltsin». Conseguenza immediata: la razzia dei tesori russi, subito predati (con la piena complicità del Cremlino) dai santuari globalisti di Wall Street.
PRIMAKOV: SMEMBRARE LA RUSSIA
Poi era programmato un passo ulteriore: lo smembramento progressivo della stessa Federazione Russa. La meta finale: annientare letteralmente il potere di Mosca, in modo che il declassamento geopolitico del modo russo diventasse permanente e irrecuperabile. «Se ne doveva incaricare il nuovo premier, Evgenij Primakov, altro esponente di quella famosa élite non etnicamente russa».
Infine, come sappiamo, è arrivato Putin. «Si impegnò certamente a garantire l’impunità di Eltsin, nonostante i crimini che aveva commesso». Pagato questo scotto, però, il nuovo quasi-Zar è tornato a occuparsi dei russi. Il reddito medio, che era precipitato in modo spaventoso, nel giro di pochi anni – osservano svariati economisti – è arrivato praticamente a decuplicarsi.
RESTARE RUSSI, SEMPRE
Non è poco, anche se – come dicono i dati – la Russia non ha ancora finito di risalire la china, recuperando i livelli del 1990. Nel frattempo, proprio allo statista Putin guarda ormai mezzo mondo, sulla via della turbolenta de-dollarizzazione in corso. Tutto sta cambiando in modo vorticoso: e i russi ne sono pienamente consapevoli. Fieri, come sempre, di essere diversi.
Famiglia, lealtà, equità e solidarietà: se si interpellassero i cittadini della Federazione Russa – fa notare Koreshkov – si scoprirebbe che i valori cui tengono sono proprio quelli. «Da noi la comunità non ha mai smesso di essere un punto di riferimento irrinunciabile: abbiamo bisogno di stare insieme, sulla base di rapporti umani e regole universali condivise».
Nulla di più lontano dalla solitudine del consumatore occidentale iper-individualista, oggi fuorviato dai media e vessato dal peggior potere. Chiosa l’analista Koreshkov: «Intendiamoci: noi russi non siamo certo migliori degli altri. Siamo diversi dagli occidentali, questo sì. Ma è la geografia stessa a forgiare da sempre la società, il Dna psicologico russo. Il motivo è intuibile: in un clima come il nostro, da solo non sopravvivi. Devi per forza allearti, unirti ai tuoi simili. Ora, se questo potrà essere di aiuto anche per gli altri popoli, tanto meglio».
GIORGIO CATTANEO