I primi ad uscire allo scoperto sono stati gli sportivi americani. Quando il mandato vaccinale ha colpito anche i milionari dell’NFL americano (la National Football League), non proprio tutti hanno deciso di barattare il proprio corpo con il siero magico, definendosi peraltro non solo ribelli, ma soprattutto “pensatori critici”.
Aaron Rodgers, che ha rilasciato un’intervista qualche tempo fa, sottolineava la palese illogicità che la nuova scienza vaccinale impone non solo agli sportivi ma anche ai comuni cittadini. “(…)Mi sono ritrovato in mezzo a gente che faceva a gara a dire quel che si era iniettato, mentre io volevo calma, volevo considerare se quello che avrei fatto avesse un senso, prima di tutto, e se mi avesse condizionato la vita poi. Invece mi sono finito ad essere l’unico a dover indossare la mascherina negli spazi comuni come fossi il reietto della squadra(…)”.
Non serve adoperarsi molto in rete per trovare subito un altro dissidente noto da menzionare. Lo stesso Kirie Irving, dei Brooklyn Nets, ha vinto la sua battaglia per la libertà di scelta, tanto che una testata come “the Atlantic”, notoriamente pro-global, ha dovuto ammettere che sia la lega del football che quella del basket si sono dovute arrendere davanti alla netta e risoluta presa di posizione dei giocatori.
La protesta per la rivendicazione della libertà di scelta tuttavia, invece che placarsi, si è poi estesa a molti altri ambienti sportivi. Si ricorderà il tennis, con Djokovic che disse no agli Australian Open aperti ai soli vaccinati, oppure lo sci con Kristian Ghedina, uno degli sciatori più forti degli ultimi anni, o anche Ivika Costelich.
Il mondo calcistico ha recentemente visto diversi nomi famosi esporsi pubblicamente per la causa. La frizione tra calcio e politica vaccinale si è acuita in maniera vigorosa soprattutto quando è stato reso noto che dal 10 gennaio anche per gli sportivi del campionato italiano sarà necessario essere in possesso del pass rafforzato per poter scendere in campo, o anche solo condividere gli spazi comuni.
Molto dure le parole di Nicola Sansone, calciatore del Bologna, che su un suo profilo social ha testimoniato con forza il proprio disappunto contro la politica vaccinale, affermando che “viviamo in un mondo (…) senza libertà di scelta (…)”. Ormai quasi in ogni club c’è almeno un no vax contro cui combattere, riportano alcuni agenti, anche se il numero è con ogni probabilità sottostimato. “Dovranno ragionare”, ha dichiarato qualcuno di loro, consapevole che ogni giocatore che non scende in campo è per loro una perdita economica tangibile, “dovranno fare quanto richiesto”.
La decisione di Sansone è stata apertamente criticata dal sottosegretario alla salute Andrea Costa che ha ribadito in più occasioni l’impossibilità dei calciatori no vax di giocare. Lo stesso Costa che oggi si è espresso favorevolmente per l’estensione del super green pass a tutte le categorie di lavoratori, introducendo di fatto un obbligo vaccinale nascosto, che rende il siero solo sulla carta volontario, ma di fatto uno status imprescindibile per quelli che ancora desiderano lavorare, prima ancora che avere una vita sociale.
Parallelamente a questo, poi, assistiamo a sportivi plurivaccinati che, nonostante la loro cieca obbedienza ai protocolli di rito, si ritrovano positivi al tampone. È questo il caso di Chiellini, che dopo la terza dose ha comunicato di essere positivo al test. Il Giorgione nazionale non è l’unico esempio di questo nonsense ormai non solo italiano. Si pensi che soltanto nella sua Juventus almeno altri due colleghi hanno subito la stessa sorte, Arthur e Pinsoglio, per non parlare di altre squadre come il Torino e la Roma che ancora prima raccontavano di vicende analoghe.
Ma non solo. Quanti giocatori in questi ultimi mesi hanno mostrato reazioni avverse all’inoculazione del vaccino? Tanti, tantissimi, troppi. Gli sportivi, anche giovanissimi, che hanno subito malori improvviso o addirittura sono morti sono stati talmente numerosi da aver inaugurato quella che è stata definita “la stagione dei malori improvvisi”. Atleti delle più diverse discipline con corpi assolutamente sani e controllati che si sono accasciati in campo con prognosi non sempre favorevole.
Viene da chiedersi se dopo molti casi dì positività tra giocatori vaccinati, e se dopo così tanti effetti avversi, abbia davvero senso imporre il green pass rinforzato anche nel mondo sportivo. Se vaccinati e non vaccinati alla fine subiscono la stessa sorte, allora più che mai la possibilità di scelta deve essere preservata. E se coloro che hanno difeso strenuamente la propria libertà finora hanno vinto la loro battaglia, come mostrano gli atleti americani, ci si può solo augurare che molti si uniscano alla loro lotta.
E non solo sul campo da calcio.
MARTINA GIUNTOLI