Lo Sri Lanka molto probabilmente sta vivende le settimane più difficili della sua vita, iniziata come stato indipendente ormai nel lontano 1948.

Sono immagini ormai diffuse un po’ ovunque sui social quelle degli ultimi giorni in cui si vede un’enorme massa di cittadini che invade il palazzo presidenziale ormai vuoto nella città della capitale Colombo, dopo che gli occupanti ormai in fuga lo avevano abbandonato poche ore prima.

Il paese é ufficialmente in bancarotta e soffre di una crisi economica e sociale talmente profonda e complessa che difficilmente si riprenderà prima della fine del 2023 se non addirittura nel 2024, dopo che da ormai mesi si segnalano enormi difficoltà per i suoi 22 milioni di abitanti.

Vari i problemi cui far fronte. Si va dalla grave carenza di petrolio che ha impedito ai veicoli ritenuti non essenziali di fare rifornimento, alla carenza di beni di prima necessità con negozi ormai al buio presi d’assalto dai cittadini. Dall’inflazione arrivata incredibilmente al 54% che ha letteralmente strozzato i portafogli e ristretto le dispense, alla carenza di farmaci essenziali. 

Inoltre, cosa niente affatto indifferente, pare che anche le riserve auree del paese siano diminuite di parecchio nel periodo che va dal 2020 ed oggi all’aumentare della crisi, oltre a non esservi più entrate di valuta estera a causa della mobilità ridotta per la pandemia da covid19 che ha frenato gli spostamenti per lavoro dei numerosi cittadini impegnati fuori dal Paese.

Di fronte ad un Paese in queste condizioni diventa davvero difficile controllare l’inevitabile fermento sociale, quindi anche se il presidente  Gotabaya Rajapaksa ha sostenuto che si sarebbe dimesso, in realtà non ne ha poi avuto il tempo ed é dovuto scappare via, lontano e anche protetto per evitare il peggio. Lo stesso premier, Ranil Wickremesinghe, dopo aver convocato una riunione d’emergenza del gabinetto di governo, ha annunciato le sue dimissioni.

In mezzo ai mille debiti da ripagare, qualcuno ha sostenuto che in realtà la colpa primaria della crisi dello Sri Lanka sia da attribuirsi alla Cina ed ai prestiti chiesti alle banche del dragone in tempo di crisi; tuttavia a guardar meglio ai dati sembrerebbe  non molto realistica come analisi. Pare invece che il problema risieda piuttosto nelle banche americane per lo sviluppo asiatico, nelle banche nipponiche e nella World Bank, quindi ben altra storia, e che solo un misero 10% appartenga a Pechino.

Forse chi sottolinea (falsamente) così tanto il coinvolgimento finanziario della Cina lo fa per supportare la propria analisi politica che si stia assistendo nel Paese all’ennesima rivoluzione colorata, e quindi per definizione anti Cina e pro-US. Lo stesso Benjamin Norton, giornalista, si chiede se non sia questo il caso, senza tuttavia aver elementi per maturare una riflessione più approfondita.

C’è però chi giura di conoscere tutta la verità e sebbene Norton abbia ragione sulla natura (poco cinese) del debito del Paese, pare non aver compreso tutto il quadro sottostante.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso risalirebbe, pensate, ad appena quattro giorni prima dello scoppio dei disordini, in conseguenza ad una semplice telefonata.

BattlementLK, un account twitter auto definitosi anti imperialista e pro BRICS, che racconta in maniera costante, minuto per minuto quello che sta accadendo in Sri Lanka, sottolinea come appena pochi giorni prima che la situazione scappasse di mano, il presidente Putin e il presidente Rajapaksa fossero al telefono per capire quali fossero gli interventi da effettuare nel Paese, ma soprattutto per confermare il desiderio da parte del governo russo di sostenere il governo di Colombo.

Pare che George Soros, quindi, prima che fosse troppo tardi e che Mosca si guadagnasse un altro pezzetto di consenso sottraendolo all’ordine elitario globalista, pare abbia formato in brevissimo tempo la sua unità di crisi, piazzando Alan Keenan, uno dei suoi uomini sul posto, al vertice della stessa unità, intento ad organizzare e dirigere le proteste messe su dagli stessi.

Questo a dimostrazione che, per quanto le immagini ci facciano sognare, le rivoluzioni, almeno quelle che abbiamo conosciuto, difficilmente sono da attribuirsi ai popoli tout court.

Infatti, come dice Battlement Lk, infatti, tre elementi devono necessariamente far pensare:

  • le proteste sono state promosse, organizzate e sponsorizzate sui social da influencer liberali
  • i diplomatici occidentali hanno impedito all’esercito di intervenire attivamente nella repressione delle proteste
  • le organizzazioni non governative hanno organizzato fattivamente le proteste proponendo anche la creazione di una nuova bandiera.

All’interno di questo strano panorama, che ancora una volta sembrerebbe colorato, come si muoveranno la Russia ed i Brics in virtù di quella telefonata?

Lo Sri Lanka saprà smarcarsi dal cappio globalista?

I prossimi mesi saranno decisivi. Un po’ per tutti.

MARTINA GIUNTOLI

 

 

 

 

 

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