«Tu prova a sfilare via i fatti, dalla realtà: quel che resta è storytelling». Non che non fosse davvero in circolazione un virus del raffreddore, nella primavera 2020 (i fatti, appunto). Ma a fare la differenza è stato proprio lui: lo storytelling. Peraltro, nei primissimi mesi dell’emergenza, quella di Alessandro Baricco fu una delle pochissime voci “mainstream” a consentirsi pubblicamente una domanda: ma non si è esagerato, con la grande paura? Si possono forse capire i media: sanno che è sempre il panico a far volare l’audience. Ma il governo? Che bisogno aveva di spaventare in quel modo la popolazione?
Chiusa la parentesi Covid, proprio sullo storytelling si concentra la riflessione del romanziere e saggista torinese, autore di bestseller e fondatore della Scuola Holden (tecniche della narrazione). Pensieri utili, in un mondo dominato da cantastorie. «Hanno inventato la parola stress, e dal giorno dopo eravamo tutti stressati. Lo eravamo anche prima, ma non sapevamo di esserlo. Dove sta la differenza? Nello storytelling. A dare importanza a una moneta non è il metallo di cui è fatta. È il simbolo che c’è stampato sopra: il gesto».
SE ELIMINI I FATTI, RESTA LO STORYTELLING
Avverte Baricco: sbaglia, chi crede che lo storytelling sia una aggiunta alla realtà, per abbellirla. Quel tipo di racconto è parte integrante della realtà. «E non è un’invenzione pubblicitaria moderna: è qualcosa che è sempre esistito. Fin dall’antichità si faceva storytelling: Alessandro Magno è stato grande anche in questo». Nel suo libro dedicato ad Annibale, Paolo Rumiz sospetta che ci fosse proprio quello, dietro alla pazza idea di trascinarsi dietro gli elefanti, facendoli arrancare fin sulle Alpi. Più che il valore strategico della sorpresa militare, la tentazione di lasciare di sé una memoria immortale. Lo storytelling.
Per Baricco, lo storytelling è metà del lavoro: «Tu puoi fare un frigorifero bellissimo e funzionale, ma se non ci attacchi su uno storytelling non vai da nessuna parte». Una volta, per raccontare qualcosa «ci si limitava a coniare monete», o magari «si innalzavano monumenti e si scrivevano sonetti». Oggi, lo storytelling si è fatto universale: non ha più confini. «E chiunque, anche chi non ha voce, può essere uno storyteller».
I REGIMI, GRANDI STORYTELLER
Baricco pensa essenzialmente al mondo commerciale, regolato da precise leggi psicologiche. Ma il suo ragionamento lo si può liberamente prendere in prestito anche per analizzare la politica: altro regno in cui la narrazione domina. Il primo a dimostrarlo fu Edward Bernays, progenitore dei persuasori occulti. Il capostipite degli spin doctor del Novecento. Non a caso, nipote di Freud. Cosa sarebbe, un politico, senza la narrativa anche simbolica che lo accompagna? Che ne sarebbe stato, persino di Hitler, senza il suo terribile storytelling?
Baricco lo sa benissimo: «I regimi totalitari erano grandi storyteller, perché avevano un controllo ferreo sulle persone». Se ipnotizzi il tuo pubblico (terrorizzandolo, magari) gli puoi raccontare di tutto: ti crederà. A una condizione: che tu stesso sia un “prodotto” marchiato, fin dall’inizio, dal tuo inconfondibile storytelling. La tua “narrazione costitutiva”, che permette al “consumatore” di identificarti come qualcosa di unico, esclusivo e inconfondibile.
SAPER NARRARE: LA CHIAVE VINCENTE
«A un prodotto non si può dare uno storytelling», ragiona Baricco: «Un prodotto deve già nascere con uno storytelling». Ovvero: «Non può affermarsi, se non è stato pensato in partenza da qualcuno che lo sa raccontare: cioè da gente che sa benissimo che la realtà è sempre costituita da due cose, i fatti e il loro storytelling. Se inventi un prodotto senza storia, il suo destino non lo raddrizzerai mai più».
Sarebbe come tentare di convertire un timido in una persona estroversa: un timido – dice lo scrittore – lo potrai migliorare, ma certo non trasformare in un mattatore capace di stregare i teatri. Regola che vige da sempre per qualsiasi prodotto: «Se non riverbera narrazione già dalla sua nascita, nessuno lo vorrà». Il dramma della politica, negli ultimi decenni? Solo storytelling. Tutto fumo e niente arrosto.
LO STORYTELLING NEOLIBERISTA
O meglio: l’arrosto c’era, ma era letteralmente indigesto. E servito in modo subdolo, nemmeno fosse un cibo naturale, fisiologico: il neoliberismo universale. Sfornato da una rinomata cucina sperimentale, quella degli Usa, a partire dal lontano 1971. Lo ricorda Paolo Barnard, citando lo spietato memoriale di Lewis Powell, avvocato d’affari di Wall Street. Incaricato in modo preciso: stilare un vademecum al quale poi attenersi, per far sparire i diritti democratici dal mondo occidentale.
Primo: stroncare la sinistra radicale e sindacale. Secondo: comprare, corrompere e cooptare la sinistra moderata, cambiandone l’agenda. E soprattutto: usare lo smisurato potenziale degli apparati – stampa, editoria, scuola, università, televisione – per sradicare qualsiasi residua idea di socialismo, di giustizia. I partiti “rossi” e il cristianesimo sociale? Un mondo da rottamare, liquidandolo come obsoleto.
IL GOLPE DELLA FINANZA
Al resto avrebbero pensato i tecnici, i tecnocrati. Gli economisti austriaci e quelli della scuola di Chicago. Samuel Huntington e gli altri poeti di corte reclutati dalla Trilaterale. Ed ecco il libello “La crisi della democrazia”, con prefazione italiana di Gianni Agnelli. La tesi: c’è troppa democrazia, va ridotta. L’eccesso di democrazia – testualmente – si “cura” con la revoca degli spazi democratici.
Mezzo secolo dopo, eccoci: lockdown, coprifuoco, Green Pass. Il Parlamento? Ridotto a un’aula sorda e grigia, rassegnata a prendere nota dei Dpcm più surreali. I leader politici? Scomparsi dai radar. Puntate precedenti: vent’anni di berlusconismo parolaio (solo promesse e zero fatti, al netto di un po’ di leggi ad personam). Contraltare: i grandi privatizzatori. Draghi, l’uomo delle banche. E Prodi, il finto amico del popolo. Centrodestra e centrosinistra? Due facce della stessa medaglia. Identici programmi, nella sostanza: al cittadino, sempre meno.
MASSONERIA E LAVORO SPORCO
Lavoro sporco, quello condotto in Italia, grazie a potenti lobby europee. Massoniche? Anche: lo sostiene Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni” uscito nel 2014. Prodi e Draghi, Ciampi e Napolitano? Un tempo “civil servant”, o addirittura esponenti della sinistra. Poi passati – armi e bagagli – al grande potere, incarnato da reti sovranazionali e superlogge invisibili. Le stesse che avrebbero concepito il piano fin dall’inizio: lo storytelling.
Pietre miliari, Ronald Reagan e Margaret Thatcher. A ruota, il tedesco Kohl e l’ultima versione del francese Mitterrand, un tempo autenticamente socialista. Senza quei big, il mantra non sarebbe mai passato: il mercato ha sempre ragione, lo Stato sempre torto. Ovviamente, baravano: a vincere non era il mercato, ma i colossi che l’avevano monopolizzato. Imponendo la legge del più forte, dopo aver piegato anche lo Stato al loro volere.
DA MANI PULITE ALL’EUROZONA
Funzione assolta, in Europa, con un decisivo passaggio intermedio: l’autocrazia di Bruxelles e dell’Eurozona. A cui si è arrivati, in Italia, grazie a un’ulteriore premessa: lo sbaraccamento della Prima Repubblica, criminalizzata a comando attraverso l’operazione Mani Pulite. Tutto è crollato, tranne quello che doveva restare in piedi: lo storytelling del neoliberismo, panacea della nuova era.
Quanto conta, lo storytelling? Tantissimo, assicura Baricco: almeno quanto i fatti. Lo scrittore guarda all’America: prima Obama, poi Trump. È possibile immaginare due politici più diversi? Due sistemi valoriali completamente opposti. Due corpi elettorali inconciliabili. Eppure: due politici – sottolinea lo scrittore – il cui travolgente impatto elettorale è dipeso in gran parte dall’approccio adottato: l’abilità nel maneggiare il rispettivo storytelling.
GUERRA: LA RESA DEI CONTI
Ora siamo ben oltre: siamo ormai dentro una guerra planetaria asimmetrica. Sembra una storica resa dei conti: il “miliardo d’oro” contro altri sette miliardi di esseri umani, che non hanno più voglia di lasciarsi dettare le regole da Washington e Londra. Di nuovo: missili a parte, il cuore della battaglia forse è proprio nello storytelling. Conquistare i cuori e le menti, prima ancora che i territori e i relativi mercati. La meta contesa: il potere, il controllo assoluto sull’umanità.
Sfida nella sfida: la lotta culturale per affermare, nello stesso Occidente, un altro storytelling. Cioè qualcosa di diverso dalla brutalità della sopraffazione fondata sulla frode, sulle menzogne a reti unificate e sull’ipocrisia. La democrazia domestica ridotta a finzione, magari anche taroccando le elezioni. Nelle colonie, invece, i golpe truccati da rivoluzioni. Denunciare tutto questo è appunto l’ambizione dello storytelling alternativo, nascente: soffocato dal mainstream perché leale e veritiero. L’unico che desideri davvero un futuro. Una vita dignitosa, per tutti. Senza più guerre. E senza più quella magia nera: lo storytelling della paura.
GIORGIO CATTANEO