Possibile che l’Italia si lasci sempre portare via i suoi tesori più preziosi, incluse le sue scoperte? C’è qualcuno, a Roma, in grado di difendere l’interesse nazionale? L’appello proviene dal più insospettabile dei luoghi: l’Egitto. O meglio: dalla grande piramide di Giza, attribuita al faraone Cheope (Khnum Khufu). Una nuova tecnologia – tutta italiana – ne avrebbe svelato la struttura nascosta. Dunque anche la sua presunta, vera funzione.

Non sarebbe stata una tomba monumentale, ma una ingegnosa “macchina energetica”. Un capolavoro (antichissimo) di ingegneria idraulica. Già, perché la piramide sarebbe stata periodicamente riempita d’acqua. Attraverso l’acqua, il vento – penetrando da opportune aperture – avrebbe prodotto una vibrazione “vitale”, trasmessa dal granito: tale da “rigenerare” l’anziano faraone. Fantascienza archeologica?

IL CASO MALANGA, GLI UFO E LE PIRAMIDI

Gli egittologi ufficiali, in effetti, avevano preso per matto il propugnatore di questa tesi: Corrado Malanga, chimico, già docente all’università di Pisa. Un uomo vulnerabile, facile da attaccare: ufologo, a lungo impegnato nel Centro Ufologico Nazionale. Peggio: sostenitore di un’ipotesi ritenuta inaccettabile. Ossia: i “rapimenti alieni”, le cosiddette “adduzioni”. Per Malanga, una sconcertante evidenza ricavata da migliaia di persone, sottoposte a ipnosi regressiva. Per i suoi detrattori: una follia delirante, viste le controversie scientifiche sulla reale attendibilità dei risultati dell’ipnosi regressiva.

Ma perché riesumare oggi questi temi? Solo perché è stato il vertice Usa ad agitare lo spettro degli extraterrestri? No, il problema è un altro. Dal 2 marzo, è diventato uno scoop mondiale la “scoperta” di una strana galleria presente nella piramide. A reti unificate, i media hanno dato enorme risalto alla notizia, frutto del lavoro di un’équipe universitaria internazionale. La vera novità? Questa: non una parola sulla (precedente) scoperta del professor Malanga. Come minimo, una grave “scortesia”: quella stessa galleria, Malanga l’aveva mostrata sei mesi fa, validata da una prestigiosa pubblicazione scientifica.

OSCURATA L’ULTIMA CLAMOROSA SCOPERTA ITALIANA

Peggio ancora: la galleria della discordia (l’unica novità emersa dallo studio giapponese) rappresenterebbe solo il 5% di quanto invece scoperto in precedenza dal ricercatore italiano. L’università di Nagoya ha usato la costosissima rilevazione basata sui muoni, particelle sub-atomiche? Malanga aveva invece verificato che si poteva impiegare il radar Sar, satellitare, per eseguire – dal cielo – una precisissima Tac del mastodonte egizio: rilevandone ogni più nascosto recesso. Al punto da intuire che quel reticolo di condotti, a suo parere, non poteva avere senso in un mausoleo: quelle gallerie, afferma lo studioso, sembrano proprio progettate per l’acqua e per il vento.

Ovvio, non è che le “breaking news” dalle piramidi possano rivaleggiare con la scottante attualità del 2023. Non stiamo parlando dei missili destinati a Zelensky mentre l’economia frana, o delle tensioni nucleari tra Mosca e Washington. Però è stato lo stesso mainstream a condurre questa strana, chiassosa operazione: strombazzare la “scoperta” giapponese, tacendo sulla precedente ricerca di Malanga, che appare ben più clamorosa. Senza dire, cioè, che quanto si va scoprendo potrebbe archiviare definitivamente tante false certezze convenzionali dell’egittologia.

NASCONDERE IL PASSATO PER PILOTARE IL FUTURO?

Per gli appassionati, non da oggi, il tema è avvincente: le piramidi – sostengono ormai diversi esperti – non possono esser state costruite appena qualche migliaio di anni fa, dalla civiltà egizia. Sarebbero molto più antiche: avrebbero resistito al “diluvio universale” che secondo i geofisici avrebbe sconvolto la Terra attorno al 9600 avanti Cristo. Dunque la vera domanda, retrostante, sarebbe questa: la nostra storia è interamente da riscrivere? Ovvero: qualcuno si oppone regolarmente a chiunque provi a raggiungere una possibile verità alternativa?

Qui finisce il perimetro dell’egittologia e si aprono ben altri orizzonti: chi “detiene” la verità ufficiale nasconde il passato per imporre il presente che desidera, incluse le pandemie e le guerre a orologeria? Il tema è attualissimo: la manipolazione della storia (persino quella antica) può servire a depistare il mondo di oggi, ipotecando il futuro? Scrittori-detective come Graham Hancock, autore di besteller mondiali, lasciano emergere una vastissima archeologia “proibita”, tenuta sotto chiave. Fanno così paura, certi reperti?

MALANGA: CONFERMATA LA NOSTRA INDAGINE

Più che sospetta, la stessa congiura del silenzio ai danni di Malanga. I dubbi poi aumentano se si considera l’immediato agitarsi dei “debunker”: infatti si affrettano a insinuare che la rivista scientifica che ha validato la sua scoperta, “Remote Sensing”, non sarebbe poi così impeccabile. Falso, protesta Malanga: ad essere incorsa in clamorosi svarioni è invece proprio “Nature”, la rivista che ora ha presentato lo studio nipponico. «Al contrario, “Remote Sensing” non ha mai preso cantonate: ha quindi un “impact fatcor” superiore a quello di “Nature”. Non mi risulta che abbia mai dovuto ritirare un lavoro scientifico perché viziato da errori».

Il professore di Pisa è amareggiato: «La nostra tecnologia di indagine è infinitamente più semplice e meno costosa di quella ora magnificata dal mainstream. Soprattutto, garantisce un risultato 100 volte superiore». Morale: «Obtorto collo, avrebbero dovuto almeno avere la grazia di scrivere il nostro nome nella bibliografia del loro lavoro. Ma se ne sono ben guardati: se l’avessero fatto, si sarebbe visto che la scoperta non era loro, ma nostra». Se non altro, c’è il rovescio della medaglia: «La “scoperta” dei giapponesi conferma che avevamo ragione noi. E ribadisce la validità del nostro metodo di indagine, decisamente rivoluzionario e assai meno dispendioso».

ITALIA PRIMA AL MONDO, DOPO URSS E USA, NELLA CONQUISTA DELLO SPAZIO

Ecco il punto: qui si oscurerebbe – ancora una volta – il valore assoluto del made in Italy. Il partner di Malanga nell’operazione è stato uno specialista come Filippo Biondi, collaboratore strategico delle forze armate italiane (marina e aviazione). «Solo lui ha sviluppato certe potenzialità del “radar ad apertura sintetica”: nessun altro al mondo lo sa impiegare in quel mondo. E noi che facciamo? Ci lasciamo portare via l’ennesima eccellenza, come già facemmo con l’invenzione del radar, di fronte al quale Mussolini era scettico?».

Malanga cita un altro genio italico, il generale Luigi Broglio: il primo al mondo – dopo sovietici e americani – a spedire in orbita un satellite. Sia pure lanciato con un razzo decollato negli Stati Uniti, il San Marco – nel 1964 – era davvero il primo satellite interamente progettato, realizzato e messo in orbita da una nazione diversa dalle due superpotenze aerospaziali. «Manco a dirlo, inglesi e francesi ci rimasero malissimo. Il generale Broglio sviluppò ulteriormente le sue tecnologie utilizzando la base di lancio di Malindi, in Kenya. Ma tutto poi finì nel dimenticatoio: perché?».

Sembra un film già visto. Un conto è contestare le interpretazioni di Malanga sulla “visita aliena”. Un altro è la clamorosa tomografia satellitare realizzata sulla grande piramide di Giza: un labirinto di cunicoli che fino a ieri, per gli egittologi, non esistevano. Si alza il volume sulla piccola “scoperta” giapponese anche per oscurare la (grande) scoperta italiana? Lo si fa perché il Made in Italy finirebbe col rivelare la vera natura e la reale funzione di quel meraviglioso, misterioso monumento? Domande legittime, probabilmente. In fondo è come se lui, il faraone Cheope, stesse lanciando una sorta di appello postumo, attraverso i millenni: forse è arrivato il momento di affrontare verità scomode? E non solo di stampo archeologico, par di capire.

GIORGIO CATTANEO