Una delegazione del Parlamento Europeo è in visita ufficiale a Taiwan fino a dopodomani, giovedì 27 luglio 2023. Composta da 17 membri, per “rafforzare i legami” fra Bruxelles e Taipei incontrerà fra gli altri la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen.
La notizia si inscrive in due filoni. Primo, cercare guai con la Cina: e trovarli. Secondo, ripetere a pappagallo l’atteggiamento e le politiche che gli Stati Uniti perseguono per il proprio esclusivo interesse. Però questi ultimi, se mostrano i muscoli al mondo, il fisico per farlo almeno un po’ ce l’hanno, anche se ultimamente è alquanto “spompo”. L’Ue, invece, proprio no.
Taiwan è l’isola di fatto indipendente che la Cina rivendica come parte del proprio territorio nazionale. Di conseguenza, pochissimi Paesi la riconoscono ufficialmente a livello diplomatico. Non la riconoscono neppure gli Stati dell’Ue e gli Usa. Eppure questi ultimi la armano e la difendono. L’Ue segue a ruota. Donde la convinzione diffusa che Taiwan sarà la prossima Ucraina, ovvero l’occasione per la resa dei conti fra Occidente e Cina.
LE VISITE USA A TAIWAN
La Cina ha preso malissimo le visite a Taiwan di alti esponenti statunitensi, sulla scia di Nancy Pelosi che un anno fa aprì la strada. Il suo viaggio fece paura al mondo. Adesso la Cina prenderà malissimo l’arrivo a Taiwan dei parlamentari europei emuli dei colleghi che operano sull’altra sponda dell’Atlantico. Anzi: la Cina l’ha già preso malissimo. Tre settimane fa infatti ha cancellato la prevista visita a Pechino del capo della diplomazia Ue, Josep Borrell. Allora, la Cina non ha dato spiegazioni. Però è possibile immaginarle facilmente.
Le relazioni diplomatiche e quelle economiche vanno di pari passo. La presidente della Commissione Europea ha enunciato la visione dei rapporti fra Ue e Cina sulla base del concetto di de-risk, ridurre il rischio: una variazione retorica sul tema del ridurre o tagliare i ponti commerciali, così come stanno facendo gli Stati Uniti e come gli Stati Uniti desiderano che faccia l’Ue.
Solo che c’è una differenza fra Ue e Stati Uniti. Questi ultimi possiedono sufficienti fonti di energia e molte materie prime. Certo non le hanno tutte e subiscono i contraccolpi delle ritorsioni cinesi, come la decisione di limitare le esportazioni di gallio e germanio indispensabili per i chip senza i quali oggi non si fa nemmeno una telefonata. Però, complessivamente, hanno le spalle ben più larghe rispetto all’Ue, povera di materie prime e di energia.
I RAPPORTI TRA UE E CINA
Eppure l’Ue ultimamente si appresta a rincarare la dose nei confronti della Cina attraverso lo “strumento anti coercizione”. È un regolamento che attende solo l’approvazione formale. Il testo definitivo non è ancora noto, ma in sostanza attraverso lo “strumento” l’Ue adotta ritorsioni quando essa, o un suo Stato membro, subisce atti di “coercizione economica” attraverso misure che riguardano il commercio o gli investimenti e che mirano a condizionare le politiche.
Anche la decisione cinese di limitare le esportazioni di materie prime indispensabili all’Ue può essere classificata come un atto di “coercizione economica”.
E non solo. Che lo si usi contro la Cina, la Russia o chiunque altro, lo “strumento anti coercizione” ha un significato ben preciso. E cioè: l’Ue si sente in diritto di prendere decisioni relative al commercio con altri Paesi con lo scopo di punirli per politiche sgradite, anche se classifica la punizione come ultima spiaggia alla quale ricorrere dopo il fallimento delle pressioni diplomatiche. Si sente in diritto di condizionare le politiche altrui, ma non tollera che qualcuno provi a condizionare le sue.
Data la sua dipendenza dall’estero per materie prime ed energia, lo “strumento anti coercizione” equivale al ringhio di un chihuahua. E magari, almeno, l’Ue ringhiasse per il suo interesse anziché per echeggiare le politiche e gli interessi altrui.
GIULIA BURGAZZI